Le Danze del Folklore argentino: Il Candombe

Il Candombe


Oggi è davvero difficile la ricostruzione delle caratteristiche di questa danza
sulla base di documenti storici incompleti, tuttavia, ritengo di dovere un riguardo
accennare la storia di questo ballo del folclore negro.
Il Candomble oltre ad essere sinonimo di danza nera in generale, é servito in particolare per mantenere i ricordi su altre due danze negre: la Chica e la Bàmbula, che verranno considerate a parte.
Nel 1807 non esistevano sale per far ballare i negri sia a Montevideo che a Buenos Aires.
A Montevideo, esistevano due luoghi pubblici in cui sia negri che liberti si ritrovavano per ballare con coreografia tradizionale e cerimoniosa le loro danze, la vecchia piazza del mercato posta presso la località Sarandí e l'altra nel Recinto, in prossimità del Campus Cubed Sud, mentre in Buones Aires restavano confinati nell'area littorale o del Sur.
Per tradizione, pur essendo ballate anche sul territorio argentino, le coreografie e la musicalità espressiva rimasero considerate danze di tradizione afro-uruguayane.
Il Candombe è un ritmo proveniente dall'Africa e negli ultimi duecento anni è stato assorbito oltre che dalla cultura e dal folclore uruguayano, anche dal folclore argentino, specialmente nella provincia di Paraná e nell'area della foce del Rio de la Plata.
Il Candombe è quanto sopravvive di un'eredità ancestrale di origine Bantù, così viene venduta da alcuni testi, mentre in altre enciclopedie ne fanno una cultura e tradizione religiosa, generalizzata nel cento-ovest dell'Africa.

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La gente di colore era avvezza a suonare e ballare questa sorta di danza religiosa o per meglio dire propiziatoria, già in uso in Argentina fin dal commercio degli schiavi del secolo XVIII, dove Buenos Aires era un'importante crocevia che insieme alla Havana detenevano il triste primato dello smistamento e la selezione degli schiavi.

[ Afro argentino en un asentamiento dela comunidad Camundá Buenos Aires 1908]

Tramandata dagli stregoni negri e dai mandingo, lo spirito musicale del candombe riassume il dolore, l'odio e la nostalgia degli schiavi, i quali si videro brutalmente trapiantati in Sud America, per essere venduti come bestie e destinati a duri lavori.
Trovarono consolazione e soddisfazioni nella musica che espressero con il ritmo ottenuto dal suono dei tamburi.
L’Argentina, nonostante fosse una colonia spagnola e un porto franco per il commercio degli schiavi, non venne mai influenzata dalla tendenza del periodo, con esclusione di
sporadici e cruenti fatti di breve durata.
L’Argentina ha sempre subito una forte influenza religiosa che permetteva ai potenti ogni libertà, insomma chiudeva non uno ma due occhi e contemporaneamente imbrigliava gli usi e costumi del popolino.
In effetti la minoranza negra venne rispettata quel tanto da essere considerata al di sopra delle bestie: per dirla in breve come persone di secondo o terzo ordine e mai come schiavi a parte pochissimi deplorevoli fatti.
Destinati come bassa manovalanza, furono inseriti nel territorio con un equilibrato e
continuativo flusso prevalentemente nell’area del Rio de la Plata, insieme a gente di colore misto proveniente dal vicino Uruguay.
Questo garantiva la presenza di manodopera non specializzata in quei territori in via di sviluppo, che la richiedevano costantemente per la manifattura di semilavorati, per la concia del cuoio e il trattamento della lana, sia per le attività agricole che nell'edilizia.
La grande massa di negri e mulati venne utilizzata per accelerare la costruzione di strade, dei canali per l'irrigazione o per la protezione militare e per le ferrovie, che furono sempre costantemente in ritardo rispetto le esigenze del paese.
La popolazione negra durante le festività o le calde serate domenicali sfilava per i paesi o le periferie cittadine riempiendole di suoni di particolari tamburi che uniti a cantilene e melodie vocali costruivano i primi brani di candombe.
Il candombe con il passare degli anni cominciò a seguire soprattutto eventi religiosi, che sconfinavano tra il cristiano ed il pagano.
Da scritti storici portati a noi dai gesuiti, si legge che a fine secolo XVIII il Vicerè proibì di ballare, quel ballo negro che in seguito fu denominato candombe, poiché data la grande presenza di negri che suonavano i tamburi era diventata una ossessione.


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Alcune note satiriche sull’argomento, riportate da soldati spagnoli del periodo e scritte sul retro di immaginette religiose, oggi raccontano, che la proibizione scaturì dal fatto che i religiosi continuarono a lamentarsi con gli ufficiali e gli alti graduati per le continue partecipazioni dei subalterni ai balli tribali neri.
Ai gesuiti non piaceva che le soldataglie per il gran sudare dovuto alla velocità del candombe, si spogliassero e si mischiassero con le praticanti negre che per loro tradizione ballavano seminude.
Secondo i gesuiti questi balli misti avevano una grande probabilità di terminare la serata in ammucchiate e ubriacature collettive.
La frase riportata sul retro di una immaginetta religiosa così prega:


“Sant… fa si (intercedi) che questa orgia infernale esploda e sprofondi nel più profondo dell’inferno dove anche Satana si vergognerebbe!”


In effetti in quel periodo vi fu uno spreco di ormoni maschili di tipo bianco a discapito di ovuli femminili di tipo nero e per fare una squallida battuta non nacquero certamente zebre!
Il candombe, visto dai benpensanti e perbenisti come una evidente espressione di tipo animalesco e non un ballo tradizionale e religioso della gente di colore, non venne assolutamente preso in stima né tanto meno scritto né suonato e con il passare degli anni si perse dalla memoria di quelle persone che si ritenevano “evolute”.

I benpensanti e i perbenisti erano certi che i missionari cattolici, sempre presenti fin dal lontano XVIII secolo nei gruppi di colore o nei gruppi indigeni più numerosi, avessero debellato questo ballo peccaminoso e sacrilego.
In effetti i religiosi con ogni mezzo lecito e qualche volta illecito tarpavano di continuo l’utilizzo di questa musica, imponendo in alternativa “le reducciónes”, inni sacri e litanie rifacentesi agli inni Gregoriani.
Il candombe, ballo molto veloce e cadenzato, nonostante tutti gli sforzi fatti dai religiosi di ogni comunità cristiana per sopprimerlo, riuscì ad essere tramandato da singoli elementi ma di strategica importanza in seno alle comunità di colore, gli sciamani e le loro praticanti.

Questi personaggi appartenenti alle tradizioni indio ed aborigene vennero subito chiamati per le loro conoscenze dalle comunità nere che avevano perso la tradizione degli stregoni e dei mandingo.
Costoro differenziarono i personaggi esibendo ruoli e costumi, appartenenti in parte a reminescenze di funzioni religiose Incas, definibili tra un misto di religiosità e riverente credulità imposte a ristretti gruppi di soggetti neri.
L'ignoranza tragica di queste popolazioni favorì una rapida diffusione di questi riti, che miravano a scatenare forze occulte di natura pagana, proprie della tradizione religiosa delle etnie africane si diffuse rapidamente in buona parte della popolazione nera.


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Le comunità di colore accolsero preminentemente le gestualità del ballo liberatore di sentimenti forti, quali gioie e paure, dolori e devozioni, con sacrifici di piccoli animali quali volatili, rettili e non raramente mammiferi, con atti e modi per propiziare gli eventi.
Vennero tramandate nenie e canti per ogni situazione di vita sopra tutto in quelle località sperdute sui contrafforti delle Ande, negli acquitrini del Paraná e nelle sterminate pianure della Pampa, espandendosi lentamente fino a coinvolgere le comunità di colore ai limiti dei paesi e delle città.
I gesti più vistosi erano, catalessi, ipnosi e scuotimenti del corpo.


Il ballo ricco di gesti scaramantici e propiziatori eventi era condotto dalla ballerina, con movenze delle anche e del bacino e con piccoli e rapidi movimenti dei piedi che favorivano di conseguenza movenze di glutei e seni.
Il maschio si poneva di fronte alla compagna di ballo ed eseguiva movimenti oscillanti e cadenzati del bacino aiutati da movimenti delle braccia quasi ad accarezzare o avvinghiare la compagna di ballo.
Atteggiamenti e movenze, che amplificate dal ritmo incalzante di strumenti a percussione di differente tipo, raggiungono una velocità considerevole.
Le caratteristiche di questa danza secondo un alto prelato di Buenos Aires di fine secolo XIX "… erano da paragonarsi agli ardori sessuali di due bestie in calore stimolate da una musica perversa e maligna”.
Gli strumenti di percussione cambiarono anche in funzione delle diverse dislocazioni territoriali dei musici, comunque rimase la tradizione delle sonorità multiple.

 


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Il candombe si tramandò quasi inalterato nelle sue caratteristiche sonore e ritmiche, però divenne più sfacciato nelle manifestazioni della danza, in quanto ballato più da professionisti o da coppie di ballerini tradizionali, che da sciamani ed osservanti, che per seguire la velocità e l'insistente cadenza servì notevole destrezza ed abilità.
A Montevideo rimasero tradizioni ed usanze più religiose cristiane, dovuto al fatto che si mantennero più a lungo convivenze fra gruppi di negri africani che rispettarono le loro consuetudini senza l'inquinamento di religioni o usanze estranee.
Abbiamo una testimonianza del novembre del 1820 del giornalista viaggiatore Augusto Sàint-Hilaire in cui descrive una danza eseguita da diversi gruppi di negri, in occasione della festività del "Día de Reyes", il giorno dei Re Magi.
Sette anni più tardi assistette ad una rappresentazione di gruppi di negri di differenti etnie un altro personaggio, Alcides d'Orbigny che dichiarò:

"uno spettacolo entusiasmante che attirò subito la mia attenzione". "Con movimenti violenti, atteggiamenti ignobili, contorsioni orribili erano le danze di questi africani che vidi in una sorta di furia uno spettacolo eseguito con passione durante la celebrazione nera della festa dei Tre re Magi". "Era il 6 di gennaio del 1927, tutti i negri nati sulla costa africana ognuno della propria etnia, sceglieva tra i suoi membri un re e una regina.
Questi personaggi arrangiati con vestiti più vistosi, originali e colorati venivano preceduti dal gruppo di seguaci come fossero i vassalli che in piccoli cortei entrarono in chiesa.

All'uscita si avviarono camminando in modo sparso si ritrovarono tutti nella piazza del mercato dove ballarono insieme ognuno come era capace a seconda della loro provenienza.
Gesti tradizionali riacquistati in brevi istanti quasi per far dimenticare in quel giorno, sofferenze e disagi di lunghi anni di schiavitù".


Altra testimonianza fu data dal cronista Ildefonso Pereda Valdes che notò che nei vari raggruppamenti venivano eseguite differenti danze: notò subito una danza di guerra, quasi una scherma, una danza con movenze lascive e una danza che ricordava il lavoro dei campi.
Il cronista fu colui che per primo spiegò le sostanziali differenze tra i balli identificandone pure i nomi: La Bàmbula, il Candombe e la Chica.
Il giornale satirico "La Matraca" nel suo numero del 13 Marzo, 1832 pubblicò una spiegazione del carnevale vissuto a Montevideo con la presenza di tante maschere e con la presenza di balli folcloristico dei negri.
Riprendeva un'altro articolo del 1807 con attinenze al movimento delle maschere:

"Alcuni vanno, altri vengono con maschere rappresentanti un turco, un soldato, un marinaio e tanta confusione di diavoli di una compagnia di negri".


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Fino al 1830 il nome candombe riferita alla tipica danza negra non era mai stato scritto e continuava ad essere considerata una rappresentazione di gruppo.
Comincia ad apparire segnalata da Luciano Lira nel 1835 che pubblicò delle composizioni di Francisco Acuña de Figueroa dandogli maggiore celebrità e prendendo fisonomia di danza.
Già nel 1834 il giornale “El Universal” pubblicava in gergo "bozalón" questi scritti dove appariva la presenza della parola candombe in un canto patriottico dove la popolazione negra festeggiava la libertà data per legge dalla "Costituzione" senza però indicarne il significato.


"Compañelo di candombe
Pita pango e bebe chicha.
Ya le sijo que tienguemo
No se puede sé cativa:
Pol eso lo Camundá,
Lo Casanche, lo Cabinda,
Lo Banguela, Manyolo,
Tulo canta, tulo grita"…


Il 28 Giugno 1839 la polizia, per il fatto che le compagnie negre sbordano in ogni luogo e orario con canti e balli, emana un editto di regolamentazione delle "Danze chiamate candombes, che utilizzano il tambor".
In questa regolamentazione si stabiliva che queste manifestazioni erano vietate nel centro della città e solo permesse sul lungomare sud, nei giorni festivi e scadevano alle nove di sera, sancendo definitivamente il nome Candombe.
Nel 1888 Isidoro De-María, scrittore, giornalista, pedagogo e politico pubblica "Tradizioni e ricordi di Montevideo antiguo", nel quale vi é inserito un capitolo titolato: "El Recinto y los Candombes" dove ricostruisce le caratteristiche di un antico spettacolo coreografico.
La testimonianza di questo esimio personaggio fa riferimento ad una rappresentazione a cui ha assistito in cui era in auge il candombe, cioé nel periodo fra gli anni 1808 e 1829.
Paragonando i balli dei bianchi e creoli con quelli dei negri mise subito in chiaro la strumentazione:


mentre i bianchi danzavano al ritmo dell'arpa, pianoforte, violino, chitarra, il fandango, il bolero, la quadriglia e Pericón con le loro figure, i negri potevano danzare le loro sequele del candombe solo al ritmo del tamburo, la marimba ed il piffero.
La partecipazione era totale vi erano ballerini di ogni età, sesso e condizioni sociali, liberti o ancora in semi schiavitù, rappresentanti di differenti etnie delle varie nazioni africane.
Infatti le differenti tradizioni africane si notavano nell'utilizzo di differenti strumenti musicali, tutti quanti costruiti artigianalmente sulle diverse tradizioni. La tambora ed il tamburil, tamburi a membrana, iflauti, pifferi, la marimba, contenente sassolini o il porongo (zucche bislunghe usate anche per contenere il mate), battute con stecche o bacchette.


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I differenti canti: calunga, cangüe, llumbá o altre, accompagnavano le danze dove i ballerini muovevano a ritmo ogni parte del corpo e battimani ritmici, con un comportamento individuale e a volte non ripetitivo.
Durante la festa dell'Epifania, tutto ciò si protraeva nei luoghi prestabiliti fino al tramonto innoltrato.
A Montevideo la festa terminava con una processione dove davanti era rappresentata la "Sacra famiglia " entravano nella chiesa fino all'altare di San Antonio o San Baltazar, mentre all'ingresso si faceva una questua con il rappresentante della guardia che curava la porta e la colletta.
Al fianco dell'altare venivano collocati dei tronetti su cui erano rappresentati i Re magi, in quel periodo erano raffigurati i personaggi seduti e seri di: Francisco Sienra, José Vidal, Antonio Pagola con la sua coppia di spalline sulla giacca, trecciato dorato e pantaloni con banda bianca, e le falde con onori e decorazioni su petto. Al loro lato la regina Felipa Artigas, Petrona Durán, María del Rosario, con collane o perle bianche catena d'oro che contrastavano sul collo nero corvino. Tutti questi personaggi; cuochi, camerieri, pasticceri e lavandaie erano la rappresentazione finale della festa ed per la magnificenza della moglie del governatore, a cui appartenevano gli altari, Donna Dolores Vidal de Pereira, che hanno avuto la visita del Governatore e delle altre autorità che hanno ricevuto ed intrattenuto molto gentilmente.


Questa descrizione del 1888 è l'ultima che riguarda il Candombe. In seguito alcuni cronisti scrissero articoli di queste danze negre senza enfasi anzi come danze antiche senza strascici nostalgici. In effetti con la scomparsa degli ultimi negri africani, la nuova generazione preferì ballare i vecchi ritmi con movenze e passi dei balli dei bianchi perdendo anche le vecchie emozioni.
I personaggi del candombe tradizionale erano:
Il Re e la Regina, in ricordo delle autorità del loro paese d'origine.
Il Principe, erede, più proveniente da tradizioni brasiliane, secondo Ildefonso Pereda
Valdés.
El Escobillero, che realmente era il maestro di cerimonia.
El Gramillero, il medico della tribù, più giusto chiamarlo, lo stregone o curatore.
Los Hombres y las Mujeres: erano le coppie, marito e moglie, che apparivano come comparse nel carnevale delle “sociedad de negros”, le associazioni negre che vestivano con colori vistosi.


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Questa informazione venne scritta da Lauro Ayestarán nel suo libro "La música en el Uruguay" del 1853, dove vengono rappresentati disegni e dipinti che mostrano e descrivono le movimentazioni del cerimoniale, le entrate e le uscite e le posizioni dei differenti personaggi ed alcuni strumenti musicali. La musica del candombe tradizionale, considerata afro-uruguayana si svolgeva guidata dal ritmo del tambor.

Tuttavia nelle cronache e nei ricordi di turisti e viaggiatori venivano eseguite movenze tradizionali da gruppi folcloristici fino al secolo XX con l'utilizzo di altri strumenti musicali di costruzione autoctona.
Secondo Hornbostel-Sachs la classificazione strumentale va suddivisa in:
Strumenti di origine africana idiófoni : Mazacallas, Mates o Porongos, Marimbas, Canillas de animales lanares, Palillos, Tacuaras.
Strumenti di origine afro-uruguayana a membrana: Tamboriles, quasi esclusivo nel candombe antico e il “Macú” (tambor grande usato anche nella Chica).
Strumenti a corda, Arco musical de Tacuabé, Cítara africana.
In alcuni casi si inserirono strumenti a fiato di tipo, piffero e flauto.
Alcuni brani di candombe vennero scritti attraverso testimonianze dirette di vecchissimi musici di colore, da illustri autori e suonatori di tango molti anni dopo, circa nelle prime decadi del XX secolo. In Uruguay si mantenne la tradizione di differenti cadenze da quelle argentine, molto più veloci e con la presenza di antiche intonazioni.

Nel candombe moderno si usano tre tamburi, quello grave detto “el piano”, quello medio detto “el repique” e uno dal tono alto detto “el chico”.
Il ritmo del candombe si crea col combinarsi dei suoni dei tre differenti tamburi e prende il nome di "Cuerda" come se fosse una corda di una chitarra che fa l'accompagnamento.
Cuerda è anche il nome che si dà alla combinazione formata dai tre tamburi suonati da tre persone che suonano un diverso tamburo, ma può essere composta da più persone, purché si distribuiscano in numero pari per i tre tipi di tamburo. I tamburi si appendono alla spalla e si percuotono con il palmo di una mano e con un bacchetta di legno nell'altra. Quando i tre tamburi del candombe si riscaldano e si sincronizzano producono un suono originalissimo estremamente emozionante.
Il candombe come ballo venne sempre osteggiato dai bigotti benpensanti e dal clero, che cercarono in tutti i modi di tarparlo, fino a vietarlo con la scusa dell'eccessivo rumore prodotto.
Nonostante il candombe abbia raggiunto la stabilità di esecuzione, un buon intenditore noterebbe quelle sonorità tradizionali dovute alla differente nazionalità dei suonatori che continuano ad essere tramandate da suonatore a suonatore.

 

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Nelle zone rurali e periferiche delle città ove le comunità di colore erano a stretto contatto con una popolazione pur sempre contadina, più civile e modernizzata, la loro musica contaminò quella europea influenzandola e modificandone le strutture.
Eminenti autori di tango ne hanno scritto dei brani musicandoli con stile della milonga ma con tempi più veloci, fanno testo:
“Azabache” di Miguel Caló, “Carnavalito” di Lucio Demare, “Estampa del 800” di Francisco Canaro ed i più popolari brani di Juan Carlos Cacérès, dove si nota il suono del "tamboril" un particolare tipico tamburo del vecchio candombe.

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