Malambo: triste, solitario e finale.

Altra appropriazione indebita ci porta a scomodare lo scrittore argentino Osvaldo Soriano. Abbiamo copia-incollato un suo titolo perché quei tre aggettivi, triste, solitario e finale, sembrano fatti su misura per illustrare la parabola dei ballerini che hanno la ventura di vincere il Primo Premio al Festival Nacional de Malambo di Laborde, in Argentina.

Cominciamo col dire che il malambo è una danza tradizionale argentina di stretta pertinenza maschile. Nasce come sfida rustica fra i gauchos de la pampa, cavallerizzi e/o mandriani che gli studiosi di folklore e forse anche in parte il luogo comune ci hanno tramandato in quanto uomini fieri e leali, taciturni e malinconici (da qui la tristezza e la solitudine…). Il malambo può essere danzato in gruppo oppure da soli, con accompagnamento di chitarra e/o percussioni, e si caratterizza, da un punto di vista coreografico, da una serie di figure (o movimenti) compiuti con le gambe e da colpi assestati coi piedi. In gergo si chiamano mudanzas, e hanno come implacabile regola la simmetria, nel senso che ogni figura deve essere eseguita sia col piede destro che col piede sinistro. Il ballo richiede forza, destrezza, resistenza ed eleganza. Ne esistono due versioni, quella danzata nel nord del paese, più esplosiva, e quella del sud, più dolce. Trattandosi di una danza folklorica, l’abbigliamento e la tenuta del ballerino ha importanza non inferiore rispetto alle figure che esegue nel corso del suo numero. Deve cioè replicare nel modo più verosimile il costume tipico dei gauchos.

In Argentina esistono molti festival di malambo, ma ce n’è uno, quello di Laborde, che è l’equivalente di un campionato del mondo o di un’olimpiade. Si tiene da poco meno di cinquant’anni, vive di autofinanziamenti e la commissione che lo organizza si è sempre rifiutata di annetterlo al giro dei grandi festival folklorici argentini sostenendo che così facendo il festival perderebbe in autenticità, trasformandosi in un evento controllato dai media, dato in pasto a un pubblico interessato più allo spettacolo che non alla conservazione del patrimonio folklorico nazionale (!!!). Motivo per cui i grandi network televisivi non coprono la rassegna, e se escludiamo la stretta cerchia degli appassionati di malambo, la stessa è ignota agli argentini stessi.

 

 

 

Il festival è annuale e si tiene sull’arco di più giorni, sospendendo ogni attività commerciale e lavorativa in quel di Laborde (6000 anime). Il concorso di malambo si suddivide in diverse categorie e sottocategorie, la principale delle quali è il malambo mayor: uomini da soli, maggiori di vent’anni. Chi vince il primo premio in quella categoria diventa, di fatto, un Eroe Nazionale (parliamo sempre del ristretto ma pur sempre esclusivo giro degli appassionati di malambo). Anni di preparazione e di trasferte massacranti, dispendio finanziario, rinunce professionali e famigliari. L’aspirante Re di Laborde deve per prima cosa essere disposto a una vita di sacrifici. E senza nessuna garanzia che questo suo sforzo verrà un giorno ripagato.

Vige una regola non scritta fra i malambisti che partecipano al festival di Laborde, una regola la cui trasgressione costa molto cara in termini di prestigio, onore e rispettabilità sociale, ovvero il ripudio dei pari. In cosa consista questa regola non scritta è presto detto: colui che si laurea campione di malambo a Laborde non parteciperà mai più a una gara di malambo, né a Laborde né altrove. Fine. Anni di sacrifici, centinaia e centinaia di malambo danzati e, di colpo, il vincitore è tenuto a porre fine alla sua carriera. La vittoria a Laborde coincide insomma con la chiusura del sipario. I ballerini salgono sul palco di Laborde sapendo che quella danza potrà essere l’ultima della loro vita. Ma solo se risulteranno vincitori (è questo il paradosso), perché se perdono potranno continuare a riprovarci.

Quella del festival di malambo di Laborde è una storia assurda e insieme sublime. Sembra arrivare da un altro mondo e da un altro tempo, non certo dal nostro. Inseguire un sogno nella speranza che ci spenga. È pazzesco ma funziona così, e questi ragazzi, gauchos veri, cresciuti in povertà e senz’altra ambizione che quella di essere riconosciuti, un giorno, campioni di malambo a Laborde, raccontano una storia che fa accapponare la pelle. Se volete saperne di più, aprite questo libro: Una storia semplice (Feltrinelli 2014). L’ha scritto una giornalista argentina, Leila Guerriero. È un reportage di poco più di cento pagine che ci racconta il sogno di uno di questi malambisti, Rodolfo Gonzalez Alcantara. Laborde non è un talent, ne è semmai la confutazione. Guardateli in azione, questi danzatori. C’è molto di coreografico, beninteso, ma è folklore 1.0 senza artifici o additivi di sorta. Io sono rimasto impressionato non tanto dai numeri in sé (non capendoci nulla, è difficile coglierne il valore), quanto dalla fierezza con cui questi giovani uomini raggiungono il centro del palcoscenico, e da come, soprattutto, si sforzino di conservarla, quella fierezza, una volta concluso il loro tour de force (micidiale, da un punto di vista fisico). Laborde: un posto dove la parola campione assume un significato che oggi non siamo quasi più in grado di riconoscerle.


Fonte: RSI.ch

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