L’affaire ‘Ultimo tango a Parigi’

L’affaire ‘Ultimo tango a Parigi’

Anatomia di un film scandalo

Tesi di laurea di  

1 gennaio 2004

•Parte I –

29 gennaio 1976: Ultimo tango a Parigi, il film dove uno dei maggiori registi italiani viventi (Bernardo Bertolucci) incontra uno dei maggiori attori americani viventi (Marlon Brando), viene condannato dalla Corte di Cassazione ad essere fisicamente distrutto, in ogni sua copia negativi compresi, poiché, al termine di un processo durato quattro anni, si è stabilito che, lungi dal soddisfare “i requisiti di artisticità”, esso consiste in uno spettacolo osceno, contrario ai principi della morale e del buon costume.
Come si è giunti, quel giorno, a scrivere la pagina più buia del pur tesissimo rapporto tra censura e industria culturale nell’Italia degli anni Settanta? Scopo del presente lavoro è tentare di fornire una risposta adeguata a questo interrogativo.
La prospettiva lungo la quale procederemo è duplice. Sul versante storico-filologico, intendiamo ricostruire il caso, attraverso l’eco prodotto sulla e dalla stampa dell’epoca, e le posizioni più autorevoli espresse dalla critica e della storiografia cinematografiche italiane. Parallelamente, in una dimensione socio-semiotica, miriamo altresì a interpretare il caso e il suo significato sociale, basandoci su un modello (fig. 1) elaborato nel corso dell’opera, e che presentiamo in queste pagine introduttive come sintesi e risultato di quelle che seguono.
Nel nostro schema, che diventerà del tutto intelligibile procedendo con la lettura, rileviamo la distanza tra lo spettatore ideale della pellicola, riassunto nella figura del cinéphile, cioè dell’appassionato in possesso delle risorse culturali necessarie per recepire correttamente il messaggio artistico di Ultimo Tango, e lo spettatore empirico che concretamente ha assistito al film, nel nostro caso una platea sterminata di cui i cinéphiles rappresentano solamente una piccola porzione.
La censura, con la sentenza di oscenità del 1976, di fatto legittima unicamente una lettura dell’opera in chiave pornografica, operando una triplice negazione: del film come opera d’arte, dello spettatore come individuo capace di leggere il film come opera d’arte, e quindi della ricezione stessa del film, precludendone la visione e con essa qualunque decodifica, compresa (paradossalmente) quella di spettacolo osceno. In seguito al dissequestro del 1987, si compie invece il percorso opposto, con il riconoscimento della dignità artistica dell’opera, delle capacità critiche dello spettatore e dunque della fruizione tout court su grande e piccolo schermo.
Abbiamo tratteggiato così l’ossatura del nostro lavoro, cui daremo corpo nelle prossime righe, limitandoci per ora a fornirne un breve sommario.

Nel primo paragrafo delineiamo il ruolo di Ultimo Tango nella storia della censura cinematografica italiana, mettendo in luce vari elementi di contatto: la necessità di una perizia tecnica nel giudizio di revisione di un film, i motivi per cui una pellicola viene considerata oscena, la persecuzione contro i grandi maestri del nostro cinema (a fronte, comunque, della sostanziale trasversalità della censura), il peso della componente cattolica, la questione della regolamentazione del cinema in televisione.
Analizziamo poi (par. 2), grazie al modello del diamante culturale di Wendy Grinswold, maggiormente nel dettaglio la vita del film e della società italiana nel corso di trent’anni, dando particolare risalto alle diverse modalità di fruizione e di percezione dell’opera nel tempo.
Ultimo Tango viene in seguito contestualizzato nel percorso autoriale di Bernardo Bertolucci, come una tappa necessaria e coerente della sua cinematografia, e nel panorama dei primi anni Settanta, dove se da un lato il “cinema d’autore” viveva una grande stagione, dall’altro stava per emergere la distribuzione su larga scala dei film “a luci rosse” (par. 3).
Un’indagine sull’atteggiamento dei maggiori e “strategici” quotidiani italiani dell’epoca ci permetterà, infine, di ricostruire gli snodi cruciali del dibattito intorno alla censura del film, dallo scalpore per il “rogo” del ’76, alla ripresa della polemica con la proiezione clandestina dell’82, fino all’ambigua sentenza di non oscenità dell’87 e al media event del primo passaggio televisivo nel 1988 (par. 4).

1.”Ultimo tango a Parigi” (1972) nella storia della censura cinematografica italiana

Prima di entrare nel merito dell’affaire Ultimo Tango, è forse utile mettere brevemente in luce alcune caratteristiche salienti della macchina censoria italiana, per cogliere la doppia valenza che il “rogo” del film di Bertolucci ha avuto dentro di essa: da un lato ci troviamo di fronte a “un vergognoso e memorabile caso probabilmente unico nei paesi cosiddetti di diritto”, per usare le parole di Domenico Liggeri [1], ma dall’altro osserveremo che la strategia persecutoria nei confronti di quest’opera presenta evidenti elementi di continuità, più che di rottura, con il passato.
Una piccola, e forse banale, considerazione previa: sebbene l’agire di “Madama Anastasia” (citando un vecchio nomignolo della censura) si presenti spesso come acritico e contraddittorio, talvolta con punte di grottesco tali da far impallidire il personaggio di Alberto Sordi ne “Il moralista” (1959), siamo ben coscienti che la complessa matassa di motivazioni ideologiche, etiche, sociali, politiche, religiose ed economiche sottese a tale agire non può certo venire districata da lapidari giudizi di condanna (o peggio di assoluzione) di quest’ultimo, e per intero nemmeno dall’analisi più imparziale e documentata.

Iniziamo dunque, con inevitabile approssimazione, a riconoscere alcuni dei fili rossi che troveremo stretti, purtroppo come un nodo scorsoio, intorno ad Ultimo Tango. Per una storia dettagliata della censura, rimando invece ai due recenti volumi Italia taglia [2]e Mani di forbice [3], oltre che all’indispensabile Storia del cinema italiano [4] di Gian Piero Brunetta.
L’Istituto di censura nasce in Italia nel 1920. È prevista una commissione formata da diversi “esperti”: un magistrato, una madre di famiglia, un educatore, un artista, un pubblicista e tre funzionari di pubblica sicurezza. Già da questa ormai arcaica formulazione, destinata poi ad irrigidirsi sotto la cattiva stella del fascismo, diventa subito palese il principale oggetto della polemica sulla-contro la censura: se è pacifico che il processo di un film tacciato di oscenità non può che venir condotto dalla magistratura, meno chiara è la questione su chi abbia le competenze più idonee per giudicare osceno il film in questione.
In questo senso, la felice conclusione della vicenda giudiziaria di Ultimo Tango nel 1987 dà per la prima volta una risposta precisa: nell’emettere la sentenza di non oscenità, il giudice istruttore del Tribunale di Roma Paolo Colella si affida a una perizia, attestante il valore artistico del film, stilata da un docente universitario di Metodologia della critica e dello spettacolo (Maurizio Grande) e da due affermati critici cinematografici (Fausto Giani e Claudio Trionfera). Si è dovuti arrivare alla soglia degli anni novanta, quindi, per stabilire che un giudizio morale nei confronti di un’opera cinematografica non può prescindere da un giudizio estetico, attento al messaggio complessivo di quest’ultima al di là delle singole sequenze, che possono apparire oscene soltanto scindendole dalla funzione che rivestono nell’intero racconto filmico.
Ma, nel nostro caso e oltre, che caratteristiche hanno queste sequenze incriminate? Per rispondere, riportiamo qui la tassonomia usata da Alfredo Baldi nel classificare i tagli sui film dal 1947 al 1962, e contenuta nel saggio “20 km di censura” [5] vengono considerate le categorie di violenza, offesa e vilipendio (a persone, istituzioni o stati), eros (pudore, morale, buon costume), macabro-impressionante-ripugnante, sociale (droga, prostituzione, miseria), eros-violenza, istigazione a delinquere — disprezzo della legge, offesa alla religione e ai suoi ministri, pubblicità, turpiloquio, politico, non individuabile la “ratio”.

È interessante notare, scorrendo questo elenco, che (più o meno forzatamente) le scene di Ultimo Tango lo coprono pressoché per intero. Dalla famigerata sequenza di sodomia non consenziente ai numerosi nudi di Jeanne-Maria Schneider, dal costante linguaggio scurrile al disprezzo di Paul-Marlon Brando per i preti, i militari e la società nel suo complesso, dalla figura della vecchia prostituta-Giovanna Galletti agli insulti di Paul al capezzale della moglie defunta-Veronica Lazare, fino ad arrivare all’efferato delitto finale (che probabilmente rimarrà impunito), rimangono fuori soltanto la pubblicità e il politico (ma quando Jeanne parla del “matrimonio pop” con Tom-Jean Pierre Léaud, paragonando gli sposi a due operai che lavorano sul motore di una macchina, forse un censore particolarmente solerte…).

Insomma, tutto questo per spiegare almeno in parte come, nel 1973, con le leggi sul divorzio e l’aborto dietro l’angolo, in secondo grado (dopo una prima assoluzione) il film venga messo sotto sequestro dal Tribunale di Bologna sostenendo che in esso “prevale la tesi della distruzione dei valori morali, (…) che resta intenzione evidente del creatore del film” e, tre anni dopo, la Cassazione confermi in via definitiva la condanna.
Del resto, abbiamo già anticipato che quello di Ultimo Tango è il caso più noto ed emblematico di capolavoro finito sotto le grinfie della censura, ma soltanto all’interno di una lunga serie: da Visconti (con Ossessione nel ’42 e Rocco e i suoi fratelli nel ’60) a Monicelli (con Totò e Carolina nel ’54), da Antonioni (con L’avventura nel ’59) a Fellini (con Le notti di Cabiria nel ’57 e La dolce vita nel ’60), da Pasolini (con Decameron nel ’71 e Salò nel ’75) a Liliana Cavani (con Al di là del bene e del male nel ’78), non c’è maestro del cinema italiano che non abbia avuto prima o poi un rendez-vous con Madama Anastasia.

Precisiamo immediatamente che, però, questo non significa che la censura si muova con una ratio a rovescio, ostacolando le opere d’arte e lasciando via libera ai film cosiddetti di serie b[6]: in generale, si colpiscono le pellicole di alto valore storico e culturale così come quelle “popolari” (un piccolo esempio: nel 1982 suscitano l’attenzione dei censori sia Querelle di Rainer Werner Fassbinder [7], che Pierino medico della Saub di Giuliano Carnimeo). Anzi, come sottolinea il produttore Galliano Juso [8], il danno maggiore viene provocato ai film di basso profilo che si reggono solo sul successo commerciale, e che nessuna voce della cultura si leverebbe mai a difendere, come invece accade per i grandi autori come Bertolucci e Pasolini.
A proposito della penosa e intricata persecuzione nei confronti dell’opera postuma di quest’ultimo, Salò o le centoventi giornate di Sodoma, vedremo come nel 1976 si verifichi un incrocio significativo con quella di Ultimo Tango, sollevando la vigorosa protesta del Sindacato nazionale critici cinematografici italiani, che in un documento ufficiale accusa apertamente la magistratura di azione oscurantista [9].
Apriamo ora una parentesi per menzionare, accanto all’Istituto di stato, quello che “si presenta, almeno fino ad un certo punto, come l’organo ufficiale di quella che è una vera e propria censura parallela” [10] : il Centro Cattolico Cinematografico, nato a metà degli anni ’30 e la cui influenza, sebbene difficilmente quantificabile, è ancora viva ai giorni nostri (pensiamo al caso di Totò che visse due volte di Ciprì e Maresco). Per quanto riguarda Ultimo Tango, a noi basterà osservare che sarà quasi esclusivamente la stampa cattolica a denigrare la pellicola, sia nel momento della condanna che del dissequestro.
Un’ultima nota per completare il quadro: la censura e la televisione. Secondo la legge 223/90, un film vietato ai minori di anni 18 non può essere trasmesso e quindi, se possibile, bisogna “sforbiciarlo” fino ad abbassare il divieto ai 14, mentre uno vietato ai minori di anni 14 non può andare in onda prima delle 22:30 e dopo le ore sette. Questa regolamentazione si è resa necessaria perché sulle tv private passava tranquillamente di tutto, film “a luci rosse” compresi, anche in prima serata. Vogliamo però rilevare, guardando per un attimo al panorama televisivo odierno dominato dalle fiction per famiglie, come il timore di un divieto ai 14 e la relativa perdita di guadagni legati al passaggio in prima serata, superiori in misura non indifferente a quelli di seconda serata, possa agire come deterrente non secondario, alla produzione di opere di impatto artistico non compatibile con il prime time del focolare domestico (senza addentrarci nel ruolo, in parte riequilibrante, dei mercati dell’home video e delle pay-tv).

Emblematici, a questo proposito, i recenti passaggi tv di Eyes Wide Shut e Salvate il soldato Ryan, nelle sale entrambi vietati ai minori di 14 anni. Per l’ultimo capolavoro di Kubrick si è, giocando un po’ con il titolo, “chiuso un occhio”, giustificando la messa in onda fuorilegge alle 21 su Italia 1 con la grandezza dell’autore, il tradizionale bollino rosso e l’avvertenza “consigliato a un pubblico di soli adulti”, mentre al film di Spielberg sono toccate come prescritto le 22:30 su Rai 1, dopo che inizialmente né la televisione pubblica né quella privata avevano manifestato l’intenzione di trasmetterlo, visto che in seconda serata i costi per trasmettere un kolossal di tale calibro non sono ammortizzati a sufficienza dagli inserti pubblicitari.
Chiuso questo breve inciso, torniamo ad Ultimo Tango: come è accaduto un anno prima per Nove settimane e mezzo di Adrian Lyne, nel 1988, fresco di grazia, va in onda su Canale 5 alle 21:30, tagliato di quasi sei minuti, preceduto da un dibattito e seguito da un inevitabile strascico di polemiche. Ma, su questi temi, avremo modo di soffermarci più tardi.
Ci sono poi alcuni aspetti della censura come il rapporto tra il sistema della politica, quello mediatico ed economico nel loro complesso, e l’influenza non univoca che essa ha avuto sulla qualità del cinema in generale (su questo punto, interessante e controcorrente è l’intervento di Carmelo Bene riportato in Italia taglia [11]), che sarebbe pretenzioso cercare di riassumere in poche righe.
Ricapitolando, quindi, il caso di Ultimo Tango è il punto di massima rottura, e l’inizio di un serio ripensamento, di un sistema censorio troppo spesso stridente con il fondamento democratico della libertà d’espressione (qualcuno parla di “censura totalitaria” [12] ), ma anche un irripetibile, benché non isolato, racconto del complesso rapporto che s’instaura tra un cinema e una società, nello specifico entrambi figli in rapida crescita dell’Italia post-sessantotto. Un tentativo di esplicitare questo legame, è argomento delle prossime pagine.

2.Trent’anni di Tango: un modello per misurare il cambiamento

L’ipotesi principale di questo lavoro è l’idea che lo scandalo sollevato dal film di Bertolucci sia riconducibile, in primo luogo, non tanto alla frattura del “comune senso del pudore” (anche se la sentenza di non oscenità dell’87 fa leva proprio sul mutamento di tale ambiguo sentore collettivo, di ciò che è lecito o meno rappresentare), quanto piuttosto sull’enorme divario creatosi, in Italia più che altrove, tra lo spettatore ideale inscritto nell’apparato testuale di Ultimo Tango,e lo spettatore empirico che concretamente ha fruito di tale opera.
Come vedremo meglio in seguito, nel primo caso abbiamo il cinéphile, dotato delle conoscenze e degli strumenti critici necessari per cogliere il messaggio del film, mentre nel secondo una massa di spettatori (oltre 14 milioni, contando solamente quelli di sala) inedita per un film così marcatamente “d’autore” e “difficile”. Con questo, non vogliamo assolutamente sostenere che Ultimo Tango non fosse adatto al grande pubblico, che l’ha seguito e amato nel corso della sua tormentata esistenza: introduciamo soltanto il sospetto che, paradossalmente, il successo commerciale abbia prodotto una sorta di decodifica aberrante supposta [13], in base alla quale la censura abbia operato seguendo un ragionamento del tipo “il popolo italiano non è ancora sufficientemente maturo per assistere a pellicole del genere” [14].
Approfondiremo più tardi questo aspetto cruciale della vicenda, supportando la nostra tesi con un’indagine sul racconto giornalistico, intrecciato dai quotidiani maggiormente impegnati nel caso. Ora, presentiamo invece un modello, utile per comprendere la complessità dell’interazione tra questo film e la società italiana nel corso di trent’anni, e propedeutico per l’analisi del ruolo di Ultimo Tango nella filmografia di Bertolucci e nel cinema dei primi anni Settanta, tema del prossimo paragrafo.
Il modello di cui ci serviamo è un noto strumento della sociologia della cultura, ossia il diamante culturale di Wendy Grinswold [15]. Dentro quest’ultimo, vengono messi in relazione con l’Oggetto culturale preso in esame (punto sud del diamante), il suo Creatore (a ovest), il suo Ricevitore (a est) e il Mondo sociale di riferimento (a nord). “Pertanto, una comprensione completa di un dato oggetto culturale”, scrive la Grinswold [16], “richiederebbe la comprensione di tutti e quattro i punti e dei sei legami”. Per ragioni di spazio e di opportunità, noi abbozziamo solamente le caratteristiche fondamentali di tali relazioni.

2.1 Ultimo Tango al cinema

Verso la metà del dicembre 1972, dopo un’anteprima mondiale a New York e una nazionale a Porretta Terme, il film giunge finalmente nelle sale italiane. Questo primo impatto di Ultimo Tango con il pubblico, da subito foltissimo così come anche nelle uscite successive, dopo la sentenza di dissequestro di primo grado del 2 febbraio ’73 e quella ultima dell’87, è descritto nella figura 2.
Come Creatore dell’oggetto culturale indichiamo volutamente soltanto lo sceneggiatore (con Franco Arcalli) e regista Bernardo Bertolucci, per mostrare, in parallelo, l’evoluzione della sua carriera (il successo di Ultimo Tango sarà fondamentale per il lancio nelle grosse produzioni internazionali inaugurate, nel 1976, da Novecento) e le differenze nella ricezione del suo capolavoro-scandalo. A trentadue anni, grazie alla favorevole accoglienza de Il conformista (1970), Bertolucci riesce a trovare in Alberto Grimaldi, già produttore di Pasolini, i finanziamenti per un’opera, che sarà ricordata come l’interpretazione forse più memorabile del titanico Marlon Brando.
Il film ottiene il visto di censura con un taglio di otto secondi (marginali riduzioni nelle scene del primo amplesso e della sodomia), che verrà reintegrato solamente nell’edizione DVD in cofanetto, distribuita dalla Eagle Pictures nel 2002 per il trentennale.
Per quanto riguarda il Ricevitore in questo primo diamante, facciamo solo due notazioni: si tratta di un pubblico ancora indissolubilmente legato a una fruizione in sala dei film (le rivoluzioni del VHS, delle tv commerciali e infine del DVD sono ancora lontane), e ridotto ai maggiori di 18 anni.
Del Mondo sociale, invece, fanno parte un sistema censorio che, come abbiamo visto, vive in crescendo una delle sue stagioni più violente e contestate (“…le pagine degli spettacoli di quegli anni appaiono spesso una mezza appendice della cronaca giudiziaria…”, scrive Tatti Sanguineti [17]) e, di contro, il popolo dei critici, degli intellettuali, dei cinéphiles che difendono fin da subito i film “scomodi” come questo (“Sin d’ora è però da richiamare l’attenzione sulla ricca sostanza artistica del soggetto, anche per sgombrare subito il campo dai sospetti e dalle accuse che il crudo erotismo di certe scene può suscitare in un’Italia dove da troppe parti tornano a levarsi, col pretesto della lotta all’osceno, paurosi inviti alla repressione” profetizza Giovanni Grazzini, critico del Corriere della Sera,nella recensione del 19 ottobre del 1972[18]).

2.2 Ultimo Tango in tv

Facciamo ora un salto di sedici anni [19], per assistere alla prima tv di mercoledì 21 settembre 1988, su Canale 5. Tralasciando per ora il dibattito che precede il film, nella figura 3 rileviamo i radicali mutamenti avvenuti nei punti cardinali del nostro schema.
Nel corso di quest’anno, Bernardo Bertolucci riceve ben nove Oscar per il kolossal “L’ultimo imperatore” (girato a Pechino e incentrato sulla vita dell’ultimo sovrano assoluto della Cina, Pu Yi), tra cui quello per la regia, imponendosi così definitivamente sulla scena internazionale come uno dei maggiori cineasti contemporanei.
L’omaggio, e l’astuta operazione commerciale, che la prima tv privata generalista del paese tributa al suo capolavoro “maledetto”, da poco rimesso in circolazione, viene però condotto epurando per intero due scene cruciali all’intelligibilità della storia (la sodomizzazione di Jeanne da parte di Paul e, quella speculare, di Paul da parte di Jeanne, per un totale di circa sei minuti), benché tali modifiche siano state supervisionate da Bertolucci stesso. Ovviamente, la visione è inoltre frammentata dagli inserti pubblicitari.

Il passaggio televisivo riscuote comunque grande successo presso il pubblico della ormai consolidata neo-tv [20], che rispetto a quello cinematografico del decennio precedente è virtualmente più vasto (il divieto è qui solo per i minori di 14 anni), e comincia a sperimentare nuove modalità di fruizione (un’importante edizione in home video sarà quella allegata al quotidiano “L’Unità” nel 1995, per il primo numero di una serie di “Capolavori italiani”).

Anche il mondo sociale non è più lo stesso: per l’industria culturale in genere si parla di “permissivi” anni ottanta, in contrapposizione alle pesanti campagne censorie del decennio precedente. Certo, permangono delle eccezioni come il già citato caso di Salò di Pasolini, protagonista di un’interminabile vicenda giudiziaria [21] che vede, ancora nel 1990, discussioni in merito al valore artistico del film [22], ma l’illuminata riabilitazione di Ultimo Tango rappresenta comunque un segnale decisivo, più che del degrado dei costumi, di una mentalità più aperta e sensibile alle espressioni originali della nostra cultura (anche se, come vedremo, non mancarono delle voci dissonanti).

2.3 Ultimo Tango su DVD

Arriviamo ora alla sopracitata “edizione speciale” in DVD uscita per celebrare i trent’anni di Ultimo Tango, che si presta ad alcune importanti considerazioni relative al peculiare percorso socioculturale di questa pellicola (vedi figura 4).
La rilevanza del suo autore nel panorama cinematografico mondiale, confermata dalle prove successive (tra cui L’assedio, del’98, che nell’ispirazione si richiama apertamente al nostro film del 1972), è ormai riconosciuta ad ogni livello: il 17 aprile 2002 l’Università di Torino conferisce a Bertolucci una Laurea honoris causa in Discipline dell’Arte, della Musica e dello Spettacolo, motivando questa onorificenza con l’ineguagliabile capacità del regista di essere “da un lato “maestro” del cinema “d’autore”, dall’altro “campione d’incassi” nei mercati mondiali” [23].
Tornando al cofanetto contenente “il film più discusso di tutti i tempi, per la prima volta in versione integrale, rimasterizzato in digitale e rimixato in studio in Dolby 5.1”, oltre alla storia di Paul e Jeanne, troviamo un secondo DVD che ricostruisce la vicenda censoria del film, con vari speciali e interviste tra cui l’intervento di Bertolucci alla rassegna “Ladri di cinema” del 1982. Un “extra” essenziale, insomma, per la coscienza delle giovani generazioni, cui per tanto tempo quest’opera è rimasta negata e, nonostante il vasto clamore, misconosciuta.
Ma il punto di maggiore interesse riguarda la possibilità (riservata finora alle sparute platee dei cineforum o delle rassegne cinematografiche) di vedere il film anche in edizione originale, con audio anglo-francese e sottotitoli in italiano. Le differenze rispetto alla versione doppiata non sono trascurabili: perciò, su questo punto, spendiamo subito due parole.
Al di là dell’effetto di cinéma-vérité, l’elemento linguistico gioca un ruolo centrale nella struttura narrativa stessa di Ultimo tango: all’inizio del loro primo incontro la francese Jeanne e l’americano Paul conversano nella lingua madre della ragazza, ma passano poi a quella del personaggio di Brando, a partire dal dialogo in cui decidono di tenere nascosti i propri nomi e le proprie identità sociali. Da qui in avanti, l’inglese americano spiccatamente slang di Paul diventa la lingua dell’autenticità, usata nei dialoghi rivelatori tra i due protagonisti dentro l’appartamento, mentre il francese viene parlato da Jeanne e Paul con i personaggi del “mondo esterno”, quasi fosse la più irrinunciabile tra le convenzioni sociali da cui cercano di sfuggire nella loro intimità.

Chiusa questa parentesi, diamo uno sguardo ai nuovi ricevitori: si tratta di un pubblico che si accosta sempre più numeroso alla tecnologia DVD (passata la fase pionieristica dei primi lettori integrati su personal computer, essa si sta diffondendo esponenzialmente, oltre che su quest’ultimo, come funzionalità opzionale delle console videoludiche e su lettori appositi, lasciando presagire, in ambito domestico, un rapido rimpiazzo dei videoregistratori per VHS); non solo, ma per la caratteristica dei film su DVD di essere corredati da interviste, backstage, note critiche e speciali, possiamo anche parlare di spettatori più consapevoli (e “riflessivi”, citando un termine della sociologia contemporanea), rispetto alla collocazione storico-culturale dell’opera cui assistono.

Inquadriamo, infine, nel mondo sociale dell’Italia di oggi, un generale ripensamento del concetto stesso di censura, non più intesa come strumento repressivo bensì, e non senza qualche discussione, unicamente nella forma di tutela dei minori. A tal proposito, degna di interesse è l’intervista a Rossana Rummo (Direttore generale Ministero dei Beni Culturali Settore Cinema), presente nel DVD, che offre buoni spunti di riflessione sul significato del divieto ai minori di 14 o 18 anni (vigente tuttora per Ultimo Tango), sul quale possono però persistere alcuni dubbi [24].
In breve: abbiamo delineato l’evoluzione dei quatto poli del diamante, in modo sintetico ma sufficiente a palesare la natura dei legami che li uniscono, ed evitiamo quindi di indugiare ulteriormente nella descrizione di tali rapporti, intuibili senza troppa difficoltà. Ad esempio, è chiaro che mentre il Ricevitore esprime sempre grande consenso nei confronti dell’Oggetto culturale, soltanto con il passare degli anni il Mondo sociale matura un pieno riconoscimento positivo verso quest’ultimo e il suo Creatore (che, se oggi riceve una laurea, nel ’76 per Ultimo Tango si vide condannato, con il produttore e gli attori protagonisti, a due mesi di reclusione con la condizionale, più la perdita dei diritti civili, tra cui quello di voto, per cinque anni).

3 Bertolucci e il cinema secondo “Ultimo Tango a Parigi”[25]

Vediamo ora, delineato il ruolo di Ultimo Tango nell’evoluzione del sistema censorio italiano, e riassunte le principali tappe della vita di questo film, di aggiungere altri elementi alla nostra analisi, spostando l’attenzione sul posto che occupa nel percorso artistico del suo autore, e più in generale nel cinema dei primi anni Settanta.
Sul primo versante, rileviamo la naturale continuità della strategia produttiva di Bertolucci: dalle prime opere a basso costo, a quelle realizzate con il finanziamento pubblico (Partner, del 1968, è prodotto dall’Italnoleggio, mentre Strategia del ragno, del 1970, dalla RAI), fino alla definitiva apertura al grande pubblico con Il conformista, sempre nel 1970. Proprio a partire da questo film, tratto dal romanzo di Alberto Moravia e interpretato da Jean-Louis Trintignant, Bertolucci decide di mettersi in gioco, coniugando il proprio stile colto e autoriale con un sistema produttivo tale da raggiungere le più vaste platee [26]. Due anni dopo, con Ultimo Tango, abbiamo visto come questa scommessa sia stata vinta, ma non senza qualche rischio.

Anche dal punto di vista della realizzazione, esistono forti legami con le pellicole precedenti: il regista si avvale dei suoi collaboratori di fiducia, Vittorio Storaro per la fotografia e Franco Arcalli, montatore de Il conformista, per la sceneggiatura, e sembra che per il ruolo principale, in un primo momento, si sia pensato a Trintignant; del resto, la stessa ambientazione parigina deriva da alcune scene de Il conformista [27].

I segni di rottura in Ultimo Tango, quindi, si ritrovano per lo più nell’ambito creativo. Invece di lavorare su un soggetto letterario, Bertolucci parte qui, a differenza delle opere precedenti, da una sceneggiatura originale. Questo, se da un lato gli permette una maggiore libertà d’azione rispetto alla pagina scritta, dall’altro enfatizza i tratti distintivi del suo modo di fare cinema, primo fra tutti una costante intertestualità, che si dibatte tra la citazione più criptica (il salvagente “Atalante”, dal film di Jean Vigo del 1934) e quella più riconoscibile dal grande pubblico (lo sproloquio di Tom sui grandi lovers hollywoodiani dello schermo: Lauren Bacall, Mickey Rooney, Ava Gardner, Kim Novak).
Ritorna qui il discorso sulla complessità, anche per l’occhio dell’esperto, di un film che vive su innumerevoli livelli di lettura, ridotti in commissione di censura, come abbiamo visto, alla pura esibizione di oscenità gratuite. Stefano Socci [28] prova a fare una ricognizione, non esaustiva, dei richiami presenti nella pellicola: oltre a quelli cinematografici (Truffaut, Godard, Rossellini, Visconti,…) e letterari (Bataille, H. Miller, Céline, Sartre, Camus, Bukowski,…), ve ne sono di teatrali (Shakespeare, Beckett), pittorici (F. Bacon), psicanalitici (Freud) e addirittura filosofici (l’estetica del sublime di Kant, Burke e Schiller; l’appartamento di Paul e Jeanne come caverna platonica).
Senza voler entrare nel merito di una disquisizione che si protrarrebbe per decine di pagine, a questo punto è però necessario soffermarsi sulla peculiarità più evidente del film, che lo rende in tutto e per tutto un’opera plasmata ad hoc per lo spettatore cinefilo. Parliamo, cioè, del ruolo meta-filmico degli attori in Ultimo Tango, reso in modo talmente marcato da non avere eguali, forse, nell’intera storia del cinema.

A cominciare dalla figura di Marlon Brando, che incarna fisicamente, più che simbolizzare, un’intera cinematografia americana (e, come notato da più parti, il passato avventuroso di Paul nel film rispecchia esattamente quello dell’interprete di un Un tram che si chiama desiderio e Fronte del porto, per fare solo due titoli), e si oppone a quella di Tom-Jean-Pierre Léaud, attore-icona della Nouvelle Vague a partire da I quattrocento colpi di Truffaut [29]. E ancora, l’ex amante della defunta moglie di Paul, Marcel, ha il volto di Massimo Girotti, uno dei grandi interpreti della stagione neorealista italiana, da Ossessione di Visconti del ’42, e in seguito anche attore pasoliniano in Teorema. Oltre questo personaggio, che forse avrebbe meritato più spazio nell’economia del film, almeno a giudicare dal memorabile dialogo con Brando nell’appartamento di Marcel, l’omaggio al neorealismo è ribadito da Maria Michi (la madre di Rosa) e da Giovanna Galletti (la vecchia prostituta). Possiamo, insomma, essere colpiti dalla suggestione che la censura di questa pellicola porti con sé anche la censura di un oceanico passato di celluloide, oltre che del suo presente e del suo futuro. Infine, e proprio perché in mezzo a tutti questi mostri sacri, risalta con chiarezza la “verginità cinematografica” dell’esordiente Maria Schneider, che viene quindi violentata tre volte, fisicamente da Brando e con la macchina da presa da Tom e da Bertolucci stesso.

Abbiamo dunque tratteggiato le caratteristiche di Ultimo Tango volte a supportare le nostre ipotesi di fondo, tralasciando intenzionalmente il discorso sulle tematiche e i meccanismi narrativi, articolati, pure con estrema cura e consapevolezza, nell’apparato testuale del film [30]. Allarghiamo ora lo sguardo, per cercare di cogliere un controverso passaggio della storia del cinema, in cui la pellicola di Bertolucci si è trovata, suo malgrado, invischiata.
Una significativa coincidenza, a nostro avviso, segna la sua uscita: il 1972 è anche l’anno in cui appare Gola profonda di Gerard Damiano, considerato il primo film pornografico moderno, id est commerciale. Come rileva Roberto Silvestri [31], senza peraltro nominare il lungometraggio con Linda Lovelace, i nude-movies dei decenni precedenti erano limitati ad oscuri film giapponesi, agli sperimentalismi di Yoko Ono, a qualche regista underground americano come Russ Meyer e alle rarità in bianco e nero degli anni Venti e Trenta.
In questo senso, si può forse rileggere nel modo più corretto l’interminabile persecuzione subita da Ultimo Tango: come un irrazionale tentativo di cancellare un punto di non ritorno, “una riga oltre la quale sta la terra desolata delle “luci rosse”” [32]. Per rimanere in Italia, basta citare la parabola di Tinto Brass, che dopo film originali e intelligenti come Il disco volante (’64) e Col cuore in gola (’67) sceglie, deliberatamente e con successo, proprio alla fine degli anni Sessanta, di adottare gli stilemi pornografici come parte integrante della propria cifra stilistica, fino all’hard-core più esplicito (Così fan tutte, 1992).
Del resto, la versione integrale di Ultimo Tango negli USA è X-rated, cioè bollata esattamente come blue movie [33]. Eppure, a ben vedere, l’opera di Bertolucci rappresenta quasi l’antitesi di un film pornografico. Laddove in quest’ultimo viene mortificata ogni tappa della sua realizzazione, dal copione al montaggio, dalla regia alla produzione, dall’interpretazione alla fotografia e via dicendo, per esaltare l’atto sessuale in sé e per sé, in Ultimo Tango il percorso è opposto: gli amplessi e le nudità della Schneider sono soltanto un tassello del mosaico narrativo, costruito minuziosamente per far emergere al meglio le doti di tutti i professionisti che vi partecipano (oltre a quelli già citati, è doveroso ricordare la colonna sonora jazz di Gato Barbieri e la scenografia di Ferdinando Scarfiotti).

Ha ragione Fernaldo di Giammatteo, dunque, quanto afferma che “la censura nazionale (…) non s’avvede che la sfida [del film] è ripiegata su se stessa, e non minaccia nessuno. Il nuovo linguaggio che Bertolucci dispiega sullo schermo (…) è il linguaggio dell’inconscio”[34]. In altre parole, Ultimo Tango sconta la classica maledizione di tutte le opere in largo anticipo rispetto ai propri tempi, quella di dover aspettare anche più di un decennio, per vedere riconosciuto unanimemente il proprio valore. E, non lo neghiamo, la censura almeno in due sensi ha giovato alla pellicola: oltre ad ingigantirne la popolarità, ha stimolato un’attenzione critica senza precedenti nei suoi confronti, permettendo alle nuove generazioni di accostarsi ad essa, non come a uno dei tanti filmetti di contestazione più o meno osé degli anni Settanta, ma come a una “summa del cinema d’autore”[35], dove confluiscono in modo innovativo le esperienze più disparate (Chessa richiama quelle della Nouvelle Vague, del cinéma-vérité e del cinema hollywoodiano, ma l’elenco potrebbe estendersi a Jean Renoir, al neorealismo tout court, al Fellini de La dolce vita e di Otto e mezzo, allo stesso Pasolini, ex maestro di Bertolucci sul set di Accattone).

Ritorniamo, a questo punto, alla censura nostrana di Ultimo Tango. Abbiamo dettato le coordinate essenziali per inquadrare le probabili motivazioni che hanno condotto alla sua feroce repressione. Ma, in concreto, come si è svolto il dibattito intorno a questo film? Quali sono le tematiche culturali e sociali nascoste sotto di esso? In che modo, è possibile ricostruire il racconto mediatico che ha scandito il suo interminabile processo?
A queste e ad altre domande, cerca di dare risposta l’analisi che sarà presentata nei paragrafi seguenti.

•Parte II –

4. Un Tango a quattro tempi

“La battaglia di Tango non fu solo battaglia legale, fu soprattutto guerra di retrovie cartacee”, ci avverte Tatti Sanguineti [36]. In effetti, se era ormai prassi consolidata, quella di basare la difesa in aula di un film contestato sulle recensioni favorevoli della stampa italiana ed estera, nel nostro caso l’attenzione tributata dai giornali ci appare oggi senza precedenti, e sarebbe impossibile rintracciare tutti i giudizi, più o meno autorevoli, espressi sull’affaire Ultimo Tango nel corso degli anni Settanta e Ottanta.  

Alcuni di questi hanno avuto grande risonanza, e non poche conseguenze. Ne citiamo due, apparsi all’uscita del film: quello di Pauline Kael, critica del New Yorker, e quello di Domenico Meccoli, del settimanale Epoca. La prima (forse più per amore di Brando, che di Bertolucci) lo paragonò, per forza artistica e innovativa, alla “Sagra della primavera” di Stravinsky; il secondo, invece, espresse qualche velata riserva. Risultato: la valutazione della Kael fece il giro del mondo, anche sui manifesti pubblicitari del film, e ancora oggi Bertolucci la ricorda con orgoglio e quasi con affetto; quella di Meccoli, che fu portata a supporto di una sentenza di condanna della pellicola, dovette essere prontamente smentita dallo stesso autore, e lacerò la coscienza dei critici: non era dunque possibile esprimere un legittimo parere negativo su un film, senza dare involontariamente man forte all’odiata censura.

Come si può osservare da questo breve inciso, l’impatto di Ultimo Tango sui mezzi di comunicazione di massa e sul tessuto sociale difficilmente può esaurirsi nella descrizione di cui è oggetto il nostro lavoro. Nondimeno, tentiamo adesso di fornirne uno scorcio, sperando che risulti quanto più possibile indicativo.
Abbiamo concentrato la nostra analisi su quattro momenti topici della vita della pellicola (tralasciando, per ragioni di opportunità, altre date importanti [37], come quelle della prima newyorchese del 14 ottobre 1972, di quella nazionale del 15 dicembre dello stesso anno, o della sentenza di assoluzione del Tribunale di Bologna del 2 febbraio 1973). Sono, in ordine:

  • 29 gennaio 1976: dopo alterni gradi di giudizio, la Cassazione emette la sentenza definitiva: tutte le copie della pellicola rimangono confiscate, e devono essere distrutte insieme ai negativi.
  • 26 settembre 1982: una proiezione clandestina del film di Bertolucci, durante la manifestazione “Ladri di cinema”, riapre un nuovo processo contro gli organizzatori della rassegna, e riaccende il dibattito intorno ad Ultimo tango a Parigi.
  • 9 febbraio 1987: una nuova sentenza, basata su una perizia di esperti, dichiara il film non osceno, e pertanto può essere rimesso in circolazione.
  • 21 settembre 1988: una versione ridotta e “formato famiglia” di Ultimo Tango va in onda, alle 21:30, sulla principale rete televisiva commerciale del paese, Canale 5.

Questi, a nostro avviso, gli eventi focali della vicenda della pellicola, che in successione rispecchiano casualmente la struttura narrativa della commedia classica, o forse sarebbe meglio dire di quella all’italiana: dal brutto colpo iniziale della condanna, passando per l’avventuroso sotterfugio della proiezione non autorizzata, arriviamo al lieto fine della “liberazione” e alla (questa sì, tutta italiana) “incoronazione” televisiva a film di tutti e per tutti, fenomeno sociale e di costume. Quello che è interessante, però, in questo semplice schema, è la rilevanza che una configurazione di tal genere assume nel racconto della carta stampata, incline a dare spazio a un caso tanto protratto nel tempo, solamente se ogni singolo evento che lo scandisce rappresenta qualcosa di unico e nuovo, ma nel contempo carico di legami col passato e foriero di conseguenze per il futuro. Condizione, questa, rispettata troppo debolmente, ad esempio, dalle varie e provvisorie tappe del processo anteriori al 1976.

Assodato ciò, quali sono i media che abbiamo deciso di indagare, per cogliere quante più possibili sfaccettature, nelle argomentazioni usate per comunicare questi fatti? La scelta è caduta su alcuni dei principali quotidiani italiani a diffusione nazionale, da un lato per cogliere le immediate reazioni agli eventi, dall’altro per seguire l’evolversi dell’affaire Ultimo Tango sui medesimi organi di informazione, anche a distanza di più di un decennio. 

Abbiamo dunque considerato:

  • Il Corriere della Sera, il maggiore quotidiano del paese, di orientamento tradizionalmente neutrale, ma in questo caso attivamente impegnato nella vicenda, con il suo critico Giovanni Grazzini, inviato alla prima di New York e tra l’altro anche Presidente del Sindacato di categoria (SNCCI);  
  • L’Unità, giornale del Partito Comunista Italiano, che lega indissolubilmente il nostro caso a quello, già citato, di Salò di Pasolini;
  • L’Osservatore Romano, organo ufficiale della Santa Sede, che nel 1976 pubblica un celebre corsivo di plauso all’azione della censura contro Salò;
  • Il Popolo, quotidiano della Democrazia Cristiana, cioè del “partito di maggioranza relativa”, che sempre nel ’76 riporta per intero il sopracitato corsivo;
  • L’Avvenire, quotidiano cattolico, che consideriamo in quanto riprende le posizioni dell’Osservatore Romano e del Popolo, sui quali, rispetto agli ultimi tre eventi della nostra lista, non viene spesa nemmeno una riga.  

Tutti gli altri quotidiani nazionali, compresi quelli di destra, si attestano sostanzialmente sulle posizioni del Corriere della Sera, con un coro di proteste al sequestro del film, e di assenso al suo “rilascio”.
Un’ultima annotazione: nel corso dell’analisi gli articoli saranno citati, in relazione all’elenco posto in fondo a questo saggio, con la sigla del giornale di appartenenza (CS = Corriere della Sera; UN = L’Unità; OS = L’Osservatore Romano; PO = Il Popolo; AV = L’Avvenire) e la data.

4.1  Atto primo: “Il rogo”, 29/1/1976 

Dopo il consueto alternarsi di sequestri e dissequestri, a poco più di tre anni dall’uscita nelle sale italiane arriva dunque la sentenza definitiva della Cassazione: confisca e distruzione di tutte le copie, compresi i negativi. Così, ecco esplodere il vero e proprio caso Ultimo Tango.

Le ripercussioni sulla stampa sono notevoli: per circa una settimana, a partire da questa fatidica data, sia Il Corriere della Sera che L’Unità danno ogni giorno ampio spazio all’evento e ai suoi sviluppi; vediamo come, partendo dal primo.
Già dal numero del 30 gennaio, Il Corriere imposta una linea interpretativa di grande durezza: all’apertura in prima pagina, con la notizia della condanna, segue un lungo articolo negli spettacoli. “Distruggere la pellicola di un film è soltanto una prova di debolezza di fronte alla libertà. (…) All’estero Ultimo Tango continuerà ad essere proiettato. Teniamoci questa patente di inferiorità collettiva. Forse nelle città straniere, per incuriosire il pubblico, scriveranno sui manifesti: «Vietato ai minori di 18 anni e agli italiani»” (CS 30/1). Come si vede da questa battuta, i richiami alle forme di censura dei totalitarismi nazifascisti non sono poi tanto velati. Diventano invece del tutto espliciti, nella “lettera aperta” di Bertolucci, pubblicata anche dagli altri quotidiani nazionali [38]: “Signori, magistrati, moralizzatori: vorrei sapere in quale forno crematorio sarà bruciato il negativo di ‘Ultimo tango a Parigi’. Con la vostra sentenza avete mandato in campo di sterminio le idee al posto di alcuni milioni di spettatori adulti, gli stessi che si sono guadagnati il diritto di votare, di scioperare e di divorziare, colpevoli di avere amato, odiato o comunque di avere visto ‘Ultimo tango a Parigi’. Ma non fatevi illusioni: nell’Italia del 1976 siete soltanto una minoranza in via di estinzione storica, naturale, biologica. Auspicando su di voi la benedizione del cardinal Poletti, vostro Bernardo Bertolucci”.

In seguito, quest’ultimo suggerisce provocatoriamente di bruciare il suo film sulla piazza di Roma, dove nel 1600 perì sul rogo Giordano Bruno. Restando in tema di richiami immaginifici, forse nessuno evocò quello più calzante, e cioè Fahrenheit 451 di Truffaut, che come ogni buona opera di fantascienza, tratta dal romanzo di Bradbury, sembra anticipare la realtà di dieci anni. Laddove nella pellicola del regista francese i pompieri, invece di spegnere gli incendi, bruciano i libri, nell’Italia degli anni Settanta i magistrati, invece di proteggere i film, li gettano tra le fiamme, avrebbe potuto scrivere qualche arguta penna dell’epoca.          
Questo intervento ipotetico è però sul tono di quello, reale, di Giovanni Grazzini, che il giorno dopo titola, in prima pagina, “Torniamo ai secoli dei roghi”. Con una nuova sentenza di sequestro anche per il Salò di Pasolini, il critico del Corriere paragona i censori ai gerarchi del Cremlino (tra l’altro, i costumi dei pompieri in Fahrenheit 451 sembrano rifarsi proprio alle loro divise), e scrive: “Ultimo Tango e Salò non sarebbero stati presi di mira se la loro qualità fosse stata la stessa di tanti filmetti imbecilli, se non avessero contenuto un’implicita denuncia contro certi tabù e contro la permissività del potere” (CS 31/1). La tesi di una censura “a rovescio”, che ostacola i film di spessore e lascia libera circolazione a quelli di basso profilo, come abbiamo visto non è del tutto fondata, ma non si può negare che una persecuzione nei confronti dei primi, piuttosto che dei secondi, crei comunque maggiori proteste e allarmismi.

In tale data abbiamo anche un articolo di Remo Cianfanelli, a pagina sei, che commenta il costoso e inutile processo appena svoltosi in Inghilterra contro il libro “Inside Linda Lovelace”, dichiarato non osceno; lo citiamo perché supporta un’argomentazione implicita già nel Corriere del giorno prima, e cioè la diversa sensibilità già maturata negli altri paesi occidentali, nei confronti delle opere scabrose. In effetti, l’unico altro paese dove Ultimo Tango fu bandito alla sua uscita (e poi riabilitato) è il Portogallo, con il piccolo particolare che nel paese iberico c’era una dittatura di stampo fascista, caduta soltanto nel marzo del 1974.

Il primo febbraio, la terza apertura in prima pagina di seguito. Questa volta, la notizia del giorno è l’appello di Bertolucci al Presidente della Repubblica Leone, con tanto di domanda di grazia. Il regista denuncia la persistente antinomia tra il codice penale Rocco, “espressione dei più alti ideali del fascismo”, e l’articolo 21 della Costituzione. Non senza una certa dose di ironia, l’avvocato Giovanni Massaro suggerisce che, per dare più forza al suo j’accuse, il regista avrebbe potuto rifiutare la condizionale e farsi due mesi di galera. Stizzito, due giorni dopo Bertolucci darà contro al Corriere, per aver pubblicato un parere tanto audace.

Nei giorni seguenti, emergono gli altri attori che s’impegnano da subito a difendere a spada tratta Ultimo Tango e Salò: la Biennale di Venezia, che provvederà a mettere al sicuro una copia di ciascuno nella propria cineteca (CS 2/2); il Sindacato nazionale critici cinematografici, che riprende il leit-motiv della protesta dichiarando “Nel caso di Ultimo Tango, la Magistratura si è allineata, nella sostanza e nelle conseguenze, sulle stesse posizioni dei nazisti che giudicando degenerate la maggior parte delle opere d’arte contemporanee le condannavano alle fiamme” (CS 3/2); i Radicali, che promettono proiezioni di sfida in pubblico (CS 4/2). In ogni caso, come dispone l’articolo 49 delle norme di attuazione del Codice di procedura penale per le cose artistiche da mettere nel museo criminale (!), per ora il film di Bertolucci viene paradossalmente segregato in cineteca “per fini di studio”, ammettendone quindi il valore artistico, ma non la possibilità che questo possa essere condiviso dal pubblico.

Nel crescendo della protesta, c’è anche spazio per un eroe solitario. Si tratta di un redattore del giornale Momento Sera, Giorgio Polacco, licenziato perché, a commento degli ultimi avvenimenti, aveva scritto: “Dio che vergogna essere italiani”. Insorgono quindi la Federazione Stampa, il Sindacato e i suoi colleghi, da subito in sciopero (CS 5/2), mentre Momento Sera si difende affermando che una frase del genere non è accettabile, in un quotidiano che si contraddistingue per la sua fiera (sic) “italianità”.

La contestazione che traspare dalle pagine del Corriere, coerentemente con la sua identità editoriale, è dunque piuttosto accesa, sebbene puntuale e composta, come d’abitudine nel “quotidiano della borghesia”. Non di meno, la prolungata attenzione che mantiene nell’arco della nostra settimana d’analisi, è per molti versi inedita e significativa di un periodo di ineludibili scontri culturali e sociali, destinati a sfociare anche nella violenza (nel 1976 le BR e Prima Linea uccidono ben otto persone).

Prevedibilmente, i toni usati da L’Unità sono assai più battaglieri e politicizzati, e mettono apertamente a fuoco alcuni temi scomodi, soltanto sfiorati dal Corriere.
Andiamo con ordine. Nel giorno seguente la condanna, abbiamo un’apertura in prima pagina con la notizia, il rimando alla suddetta lettera di Bertolucci negli spettacoli, e il commento a questa decisione “contro la maturità degli italiani, la storia, la logica e il senso comune” (UN 30/1).

Ma, come abbiamo anticipato, la polemica prende quota a partire dal 31 gennaio, quando, in relazione alla conferma del sequestro di Salò di Pasolini, L’Unità comincia a parlare di “sentenze oscurantiste” e “unanime sdegno per la repressione censoria”. Un passaggio dell’articolo pubblicato a pagina nove è oltremodo interessante. La tesi del PM D’Amelio, accolta dalla prima Sezione del Tribunale penale di Milano, nomina esplicitamente l’opera di Bertolucci: “Se si è decisa la distruzione per Ultimo Tango, che non era niente rispetto a Salò, a maggior ragione si deve condannare il film di Pasolini” (UN 31/1). C’è dunque una diretta conferma che, pur in mezzo a mille contraddizioni, l’azione della censura negli anni Settanta non disdegna, all’occasione, di compattarsi strategicamente. In questo numero, il quotidiano comunista presenta inoltre i nuovi attori che si aggiungono alla protesta: l’ANAC (Associazione Nazionale Autori Cinematografici) e la SAI (Società Attori Italiani). Nomina, infine, lo schieramento de Il Messaggero e de Il Corriere della Sera.

Osservare e censire le posizioni della stampa italiana diventa poi una delle linee guida, di come L’Unità articola il proprio racconto degli avvenimenti. Nell’editoriale di Aggeo Savioli, con toni molto diversi da quello di Grazzini sul Corriere, si attacca da subito L’Osservatore Romano, “unico fra quanti giornali si stampano in Italia, [che] abbia plaudito all’azione repressiva della Magistratura” (UN 1/2). La controversia si accende ulteriormente, quando si verifica che “mentre anche i quotidiani di destra (es. Il Tempo di Roma) danno spazio alle proteste contro la censura di Ultimo Tango e Salò, domenica, come L’Osservatore Romano, anche Il Popolo, «foglio ufficiale del partito di maggioranza relativa», dopo due giorni di silenzio, ha riportato vistosamente il corsivo dedicato al caso di Salò dell’organo di oltre Tevere” (UN 3/2). Segue, all’indomani, un articolo di risposta del quotidiano democristiano, che, lo vedremo tra breve, è indicativo del peso storico del nostro caso, al di qua e al di là dei dibattiti etici, morali ed estetici.

Una seconda direttiva, lungo la quale si muove L’Unità, è l’enfasi posta sull’azione, più che sulla parola, per dare efficacia al dissenso nei confronti dell’operato dei censori. Le espressioni sono quelle consolidate nell’ideologia del vecchio PCI: “Impegno di lotta dei cineasti e dei lavoratori” (UN 1/2), “Forte azione di protesta del Sindacato critici” (UN 3/2), “La lotta contro l’attacco oscurantista” (UN 4/2). A parte gli accenni di retorica, lo stesso critico del Corriere Giovanni Grazzini sottolinea, qualche mese più tardi [39], “che il rituale delle proteste verbali ha stancato un po’ tutti”, nella sua sostanziale mancanza di risultati. Posizione questa da non fraintendere, nel contesto drammatico degli anni di piombo, poiché corretta nel profetizzare che una spinta decisiva, nella riapertura del caso Ultimo Tango, verrà piuttosto dalle proiezioni pubbliche dei Radicali e dei promotori di “Ladri di cinema”, che dai fiumi di parole versate negli anni a sostegno del film. 

Terzo elemento, peculiare del giornale “degli operai e dei lavoratori”, è quello di accentuare le valenze politiche. Si riporta uno stralcio di una dichiarazione firmata dall’intera troupe (tra cui Marcello Mastroianni, memore della persecuzione contro La dolce vita) del film di Elio Petri Todo Modo: “Lotta per il lavoro e lotta per la libertà di espressione sono indivisibili: si bruciano i film, poi si bruceranno i contratti di lavoro. (…) La sentenza contro Ultimo Tango deve far riflettere tutti i democratici, tutti i lavoratori sulla necessità di condurre di pari passo la lotta per cambiare le strutture economiche capitalistiche e la lotta per cambiare le sovrastrutture: prima di tutto l’ordinamento giuridico” (UN 1/2). Sulle pagine del loro quotidiano di riferimento, non possono mancare voci dal versante comunista del mondo politico stesso, non di rado accusato, in toto, di non prestare la dovuta attenzione all’annoso problema della censura[40]: abbiamo la presa di posizione della FGCI, Federazione Giovanile Comunista Italiana di Roma (UN 3/2); le critiche di Lello Basso, senatore e giurista comunista, alle “ingerenze del Vaticano nelle cose italiane” (UN 4/2) [41]; il “passo ufficiale” del PCI medesimo, che nella veste del responsabile dei suoi deputati Franco Coccia, sollecita la discussione in aula della “proposta di legge comunista per l’abolizione della censura amministrativa sul cinema” (UN 5/2).     

Per chiudere la nostra panoramica su L’Unità, il 5 febbraio, oltre allo sdegno per il licenziamento di Giorgio Polacco, riportato anche dal Corriere, rileviamo, a pagina nove, un caso di tematizzazione sui generis. Infatti, mentre di solito questo termine indica l’inferenza di una macro-tematica, compiuta dal lettore a partire dall’accostamento di determinate notizie sulla stessa pagina, e unite da un filo conduttore più o meno esposto, in questa circostanza, evidentemente per la forte connotazione pedagogica del contratto di lettura che lega un quotidiano di partito coi suoi destinatari, l’argomentazione di fondo è, persino a livello grafico, del tutto manifesta. Un eloquente occhiello, “Allarmante crescendo della campagna oscurantista”, campeggia cioè sopra ben cinque diversi articoli, tra cui un nuovo attacco a Il Popolo (la cui risposta alla provocazione di due giorni prima è bollata come “vaneggiamenti isterici”), il bollettino degli ultimi sequestri (Bordella di Pupi Avati, Kitty Tippel di Paul Verhoeven, il lungometraggio a cartoni animati Tarzoon la vergogna della giungla e il pruriginoso I desideri di Emmanuelle) e il blocco della programmazione, al cinema “Verdi” di Nervi, di Ultimo Tango, da parte del “privato cittadino” Sossi, “magistrato che venne rapito dalle cosiddette (sic) Brigate Rosse” (UN 5/2).

Abbiamo fin qui esaminato i tratti distintivi della copertura mediatica del “rogo”, da parte de Il Corriere della Sera e de L’Unità. Come sottolinea quest’ultimo, con diverse sfumature e nella quasi totalità anche gli altri quotidiani nazionali si sono uniti, o perlomeno hanno dato spazio, alla protesta contro la condanna del film. Eppure, essa rimane comunque una sentenza espressa dalla Cassazione, una delle più alte istituzioni dello Stato italiano. Qualcuno, perciò, dovrà pur levarsi a difenderla. Vediamo chi e con quale strategia comunicativa.

L’Osservatore Romano, in realtà, dedica in modo diretto al film di Bertolucci soltanto un trafiletto in ultima pagina, sotto “notizie italiane”, astenendosi da ogni commento e notificando, testualmente, “Definitiva la condanna per Ultimo tango a Parigi ” (OS 31/1).

Ma ci sono almeno due articoli, pubblicati nei giorni successivi alla chiusura del processo, in mezzo al clamore nazionale appena descritto, che è impossibile non ricollegare al nostro caso.

Il primo appare lo stesso giorno del breve articolo sopra citato, e porta il titolo emblematico “Come promuovere il cinema migliore”, di Sergio Trasatti. L’autore si chiede “come lo Stato può intervenire efficacemente nella promozione del cinema migliore, il che rimane l’unico sistema valido per scoraggiare, nello stesso tempo, il cinema meno meritevole?” (OS 31/1). Ipotizzando che la risposta a tale interrogativo sia affidata agli ultimi eventi, sorge qualche dubbio in merito all’efficacia dell’intervento censorio dello Stato. A parte ogni considerazione sulla libertà d’espressione e dell’arte, ribadiamo  soltanto, su un livello più prosaico, che in un sistema produttivo fragile come quello italiano, sanzionare un film confiscando gli incassi passati e impedendo quelli futuri (giacché, alla fine, questo s’intende col termine di censura cinematografica), qualunque sia la qualità (e il metro di giudizio di tale qualità) della pellicola, il danno ricade in ogni caso sull’intero cinema italiano, scoraggiando in primo luogo i produttori, spesso coraggiosi e con pochi mezzi, del “cinema migliore”. Del resto, tornando a Bertolucci, abbiamo visto che è lo Stato stesso ad aver prodotto alcune delle sue opere giovanili, prima di condannare al rogo, contraddittoriamente, quello che per molti rimane il suo capolavoro.

Il secondo pezzo è il noto corsivo a commento della condanna di Salò di Pasolini, ma, in modo palese, esso si riferisce tanto a questo film quanto ad Ultimo Tango (contribuendo a sovraccaricarlo di significati sociali e politici, di certo meno marcati, rispetto all’opera postuma del geniale poeta, narratore e regista tragicamente scomparso). Ecco i passaggi più rilevanti del testo (il corsivo è nostro): “La Costituzione della Repubblica Italiana pone unico limite alla libertà di espressione il rispetto del buon costume e il Codice Penale italiano all’art. 528 considera [il] reato d’oscenità. (…) Parlare di roghi, di ritorno al medio evo, di retrocessione del livello civile del popolo italiano, privato della possibilità di assistere sul grande schermo a ributtanti sconcezze e vergognose turpitudini spinte fino alla disperazione dell’abiezione (comunque ispirate o finalizzate nell’intenzione dell’autore) è indice di quella «perdita dei valori» di cui paradossalmente parla un critico apologista. (…) Se la cultura abdica al suo ruolo critico, non è la libertà a guadagnare ma i «gruppi di potere» del denaro o della sovversione. (…) Non è superfluo ricordare che la incidenza di un libro si esercita su lettori selezionati e dotati; ma lo schermo parla a platee indiscriminate, anche immature, anche incolte ” (OS 1/2).

Queste ultime righe, con il raffronto tra libri e pellicole, meritano almeno una riflessione. Nel suo 17° Quaderno dal carcere, Gramsci espone la conosciuta tesi sul fallimento della narrativa italiana, poco frequentata dal grande pubblico, al contrario per esempio di quella francese, a causa degli intellettuali troppo estranei ai problemi del popolo. Spostando tale giudizio, che abbiamo sintetizzato con notevole approssimazione, dalla letteratura al cinema, osserviamo con quanta debolezza possa essere applicato. Infatti, tra i registi italiani che con maggiore attenzione e verosimiglianza si sono interessati ai “problemi del popolo”, spiccano senza dubbio i vari Rossellini, De Sica e Visconti della stagione neorealista, ai quali però in patria è stato tributato uno scarsissimo successo di pubblico. Autori successivi come Pasolini e Bertolucci, che invece sono (dichiaratamente nel caso del secondo, meno nel caso del primo) più consapevoli dell’ineluttabilità della componente spettacolare nella macchina-cinema, quando decidono di “andare al popolo” (usando l’espressione gramsciana), e il popolo finalmente risponde, e mai con tanta partecipazione quanto per Ultimo Tango, vengono quasi incredibilmente bloccati dallo Stato. 

Per quanto riguarda infine la condanna delle “ributtanti sconcezze e vergognose turpitudini”, a prescindere dalle intenzioni del regista e quindi dal contesto della sua opera, L’Osservatore Romano rispecchia qui chiaramente le posizioni dell’istituto censorio stesso, dando una misura dell’influenza degli ambienti cattolici su quest’ultimo.

Ne abbiamo un’ulteriore conferma se analizziamo, ora, la strategia seguita da Il Popolo. Anziché assumere una linea autonoma sul caso, il quotidiano DC, come evidenzia L’Unità, dopo due giorni di silenzio sceglie di pubblicare per intero il suddetto corsivo del giornale della Santa Sede. In senso lato, quindi, ad Ultimo Tango non dedica nemmeno l’informazione telegrafica riportata dall’Osservatore.

Bisogna aspettare una settimana dopo la sentenza, per veder apparire la notizia che, “con decreto del Ministro di Grazia e Giustizia”, tre copie del film di Bertolucci saranno conservate in cineteca (PO 5/2). In mezzo al fragore delle proteste e al turbinare degli eventi, la scelta di menzionare unicamente questa decisione del governo, indica, da parte del quotidiano più vicino all’esecutivo, una manifesta convinzione nell’efficacia “riparatoria” del decreto salva-Tango, posizione questa ovviamente poco condivisa dagli altri organi di stampa.

Immagine articolo Fucine MuteSulla stessa pagina, c’è poi la risposta all’attacco de L’Unità: “Abbiamo sempre chiesto”, scrive Paolo Valmarana, “la abolizione della censura amministrativa. (…) Lezioni di civiltà, di tolleranza e di democrazia sono quindi del tutto gratuite e fuori posto. (…) Fascismo e antifascismo sono del tutto estranei alla vicenda. In caso contrario qualcuno ci deve spiegare perché l’accusa di fascismo non viene estesa alle gerarchie e agli esponenti della cultura sovietica che sui film in questione hanno assunto un atteggiamento di violenta censura” (PO 5/2). Non occorre rimarcare come questo articolo, involontariamente, finisca per sostenere l’anomalia, in uno stato democratico, di un regime censorio come quello vigente per molti decenni in Italia.

Un regime che è vissuto, spesso, di contraddizioni imbarazzanti; anche i pochi giorni della nostra ricerca ce ne offrono un campione. Infatti, delle ultime tre pellicole sequestrate dalla magistratura dopo Salò, Il Popolo dà recensioni piuttosto favorevoli: il primo febbraio su “Kitty Tippel”, e il cinque su “Bordella” e “Tarzoon la vergogna della giungla”. Anzi, del film di Paul Verhoeven, si dice nientemeno che “dalla sconosciuta (cinematograficamente s’intende) Olanda, ecco un buon esempio di cinema di qualità” (PO 1/2).

4.2 Atto secondo: “Ladri di cinema”, 26/9/1982

Nel settembre del 1982 la cooperativa “Missione impossibile” organizza la rassegna “Ladri di cinema”, nel corso della quale, al teatro Safa Palatino di Roma, affermati registi (tra cui Wim Wenders) parlano delle proprie influenze cinematografiche e presentano un loro film. Al termine dell’incontro con Bernardo Bertolucci, viene proiettato Ultimo tango a Parigi.

Di per sé il fatto non costituisce un vero e proprio reato, perché la proiezione “non è avvenuta in un luogo pubblico sottoposto a controlli SIAE” ed “è stata effettuata in versione originale, cioè una versione del film che non corrisponde a quella condannata” (CS 28/9). Ma, sul piano simbolico, la sfida ha un peso non indifferente.

Sia Il Corriere della Sera che L’Unità comunicano sobriamente la notizia negli spettacoli. L’enfasi, com’è prevedibile, è tutta sull’elemento che differenzia questa proiezione clandestina dalle altre, quelle dei Radicali in primis: la presenza in prima linea dell’autore.
In realtà, come ricorda lo speciale della menzionata edizione DVD, il ruolo di Bertolucci nella vicenda è stato solamente quello di introdurre il film, mentre il fortunoso ritrovamento di “una copia abbandonata da qualche parte” è stato opera degli organizzatori della rassegna. Con ironia, al termine del suo intervento il regista precisa anzi che prende le distanze da quello che può essere un reato, di cui tutti gli spettatori presenti potrebbero essere correi.

Nei titoli dei giornali, egli compare però come l’artefice principale dell’architettura dell’evento, piuttosto che come ospite: “Bertolucci a sorpresa fa proiettare il suo «Tango» condannato al rogo” (CS 27/9); “Bertolucci ha presentato a sorpresa «Ultimo Tango» e ha parlato dei suoi maestri e del pubblico” (UN 28/9). Sulla possibilità narrativa di riaprire la polemica, a sei anni di distanza dal “rogo”, i due quotidiani invece divergono.

Il Corriere, alla notizia della proiezione, fa seguire un lungo articolo che raccoglie i pareri di alcuni registi su questo atto di sfida; sono “tutti concordi, ma il problema vero è quello di modificare la legge”. Tra gli altri, molto agguerriti sono gli interventi di due fra i cineasti più martoriati dalla censura: Tinto Brass, per cui “è il concetto di osceno, che deve essere cancellato dalle nostre norme restrittive per la circolazione dei film”, e Liliana Cavani, che dichiara: “Di fronte all’ottusità, all’assurdità della censura il gesto di proiettare «Ultimo Tango» mi sembra persino poco provocatorio” (CS 28/9).     

L’Unità, al contrario, si sofferma soltanto sulle parole pronunciate da Bertolucci alla rassegna, come se di fronte alla ormai assodata grandezza dell’autore, non sia nemmeno più necessario ribadire quanto sia stato iniquo il trattamento che ha subito nel nostro paese. Accanto all’evocazione dei suoi maestri di cinema (Max Ophuls, Orson Welles, Joseph Von Sternberg, Yasujiro Ozu, John Ford, Jean Renoir), viene citato anche il Roland Barthes di “Le plaisir du texte”, per sottolineare l’idea del regista che “al cinema bisogna godere, il ’68 ha perso perché aveva paura di farlo” (UN 28/9). In effetti, parafrasando,  è l’identico motivo per cui risulta perdente la censura: temere i film e la loro influenza sulla società, significa in ultima istanza aver paura della società stessa, dei suoi desideri che si rispecchiano nella forma artistica più aderente al reale di ogni altra.

4.3 Atto terzo: “Non oscenità”, 9/2/1987

In tutta la vicenda di Ultimo Tango, la chiave di volta è forse proprio nella sentenza di non oscenità, giunta circa quattordici anni dopo l’uscita del film e undici dopo la condanna definitiva (infatti, essendo passata in giudicato, essa non può venir cancellata, bensì solamente “raddoppiata e scavalcata”, usando l’espressione di Tatti Sanguineti [42]). L’opera di Bertolucci torna libera, secondo la decisione del giudice Paolo Colella, perché il “comune senso del pudore” è cambiato rispetto al decennio precedente, e ciò che era osceno negli anni Settanta, non lo è più negli Ottanta.

Il Corriere della Sera, nel dare la notizia, sintetizza così la motivazione: “…il sentimento medio del pudore deve essere misurato sulle persone «che compongono la fascia attiva e produttiva della società». E queste persone hanno oggi, rispetto a quindici anni fa, una «nuova morale sessuale» (…) In definitiva, l’«uomo medio» di oggi non prova «ripugnanza e disgusto» davanti alla famosa scena del burro. Perciò il film può essere programmato” (CS 10/2).

Se da un lato possiamo quindi prendere atto che la rivoluzione sessuale del ’68, per attecchire in Italia, ha avuto bisogno di quasi vent’anni, dall’altro possiamo introdurre una riflessione ben più seria sul concetto di “comune senso del pudore”. Dal punto di vista semiotico, appare sostenibile la tesi che quest’ultimo rappresenti un dispositivo costruito ad hoc per defraudare il pubblico della propria volontà, delegandola a un generico simulacro di attore sociale definito come “uomo medio”, e di cui il magistrato si fa portavoce. In tal modo, il comune senso del pudore si configura come un meccanismo di grande forza manipolatoria, assai simile a quello dell’opinione pubblica [43].      

Del resto, in passato, esso era stato evocato per condannare il film, invece che per difenderlo. L’Unità cita a questo proposito il commento dell’Osservatore Romano alla sentenza di condanna del 1974: “Chiunque creda ancora nell’esistenza di un sentimento comune del pudore non potrà che condividere il giudizio del magistrato” (UN 10/2).

Grazie alla presunta evoluzione, ma soprattutto alla costitutiva ambivalenza del “senso del pudore”, si riesce dunque nel 1987 a sostenere il paradosso, imbarazzante non soltanto giuridicamente, di una sentenza contraria a una precedente, ma che nel contempo afferma l’esattezza di entrambe. Quello che traspare, in effetti, come dice Pier Giorgio Liverani sull’Avvenire, è che “se [la morale] è cambiata, ciò vuol dire che la sentenza del ’74 era giusta almeno rispetto a quella morale” (AV 11/2).

Ribadiamo qui quanto sostenuto finora, e cioè che rifiutiamo questa tesi, attribuendo al contrario lo scandalo di Ultimo Tango alla ricezione di massa di questo film, nel processare il quale si è erroneamente creduto che il pubblico l’avesse percepito alla stregua di un’opera pornografica, ignorandone lo spessore artistico (e finendo così per negarlo, in un circolo vizioso, anche nelle sentenze di condanna).

Tornando all’analisi dei quotidiani, osserviamo il ripresentarsi di un elemento centrale nella stampa italiana, vale a dire l’intertestualità fra le diverse testate: l’articolo dell’Avvenire in data 11 febbraio è palesemente una risposta a quello de L’Unità del giorno prima. Addirittura, se il pezzo del quotidiano comunista finisce chiedendosi “quante umiliazioni ha dovuto subire il comune senso dell’intelligenza (questo sì che sarebbe da proteggere) prima che giustizia fosse fatta…” (UN 10/2), quello del giornale cattolico inizia riprendendo la stessa frase: “Allora giustizia è (sarebbe) stata fatta, (…) secondo quanto si deduce dai commenti osannanti di ieri” (AV 11/2).

A parte L’Osservatore Romano e Il Popolo, che non menzionano il fatto, i maggiori quotidiani nazionali commentano positivamente la nuova sentenza, che restituisce all’Italia uno dei capolavori del suo cinema; però, come nel ’76 fuori dal coro delle proteste, anche questa volta si leva una voce, fuori da quello degli assensi. Si tratta dell’Avvenire, appunto, che in tono per nulla ironico condanna questo nuovo “rogo”, non più del film ma della sentenza di undici anni prima (anche se, abbiamo visto, almeno formalmente essa viene mutata, ma non messa in discussione). L’argomentazione di fondo rimane in ogni caso quella dell’Osservatore del ’76: si contesta che Ultimo Tango sia un’opera d’arte, che non provochi “ripugnanza e disgusto”, che non sia osceno, eccetera.

Un particolare accento è posto sul fatto che “il principio della certezza del diritto abbia subito un bello scossone” (AV 11/2). Alla luce della nostra ricostruzione, riconosciamo invece che quest’ultimo è piuttosto l’ultima scossa d’assestamento, di un assurdo terremoto avvenuto undici anni prima. Come scrive Maurizio Porro sul Corriere: “Irrintracciabile Marlon Brando, espatriato in USA Grimaldi Alberto, momentaneamente in Cina l’autore, dispersa in crisi e nevrosi la Schneider, in realtà fu condannato solo il nostro pubblico” (CS 10/2).

4.4 Atto quarto: “Tango in tv”, 21/9/1988

“Tango, ultima polemica” titola Il Corriere della Sera,il giorno stesso che il film di Bertolucci approda sui teleschermi nostrani. Come abbiamo già visto, Ultimo Tango va in onda su Canale 5 alle 21:30, in “formato famiglia” (cioè epurato delle scene più scabrose), e preceduto da una puntata speciale del talk show italiano più noto, il “Maurizio Costanzo Show”.

Il tentativo è quello di trasformare il passaggio tv in un vero e proprio media event [44], cioè in un “racconto televisivo di accadimenti simbolici che mettono in scena passaggi sociali, definiscono e confermano identità collettive, rilegittimano l’ordine e i valori”[45]. Infatti, il tema del dibattito non è circoscritto al film o alla censura cinematografica, bensì imperniato sulla domanda “che cosa fa scandalo oggi e cosa no?”; lo stesso conduttore Maurizio Costanzo dichiara consapevolmente: “Ciò che mi interessava era non già proporre alla grossa platea televisiva un dibattito giuridico da iniziati, ma suggerire temi di interesse contemporaneo: lo slittamento, il mutamento del comune senso del pudore, i tabù della nostra cultura e vita sociale, il superamento dialettico di certe ipocrisie” (CS 22/9).

La riduzione tv di Ultimo Tango è insomma un evento in piena regola, la celebrazione collettiva di un barometro dei cambiamenti nella morale e nel costume, e contemporaneamente, come afferma Oreste Del Buono sempre dal Corriere, è “un’informazione circa quel film e circa lo scandalo che produsse, le battaglie che alimentò tra due Italie divise” (CS 22/9).
Prevedibilmente, i quotidiani che abbiamo preso in esame fanno da  cassa di risonanza alla trasmissione, ritagliando addirittura più spazio di quello dedicato alla sentenza di non oscenità e, soprattutto, mettendo in scena il più violento scontro tra sostenitori e detrattori della pellicola, dai tempi del “rogo”.

Il la è dato da Il Corriere della Sera del 21 settembre, che raccoglie e amplifica la spaccatura nel mondo cattolico tra il movimento “Comunione e Liberazione” e i Gesuiti: il leader del primo, Roberto Formigoni, consiglia di “non perdere tempo a guardare questo film”, mentre il padre gesuita Ennio Pintacuda riconosce che “Ultimo Tango è un film che ha costituito una svolta nel cinema”, e quindi anche “un cattolico maturo, non morboso” può ed è invitato a vederlo, perché “bisogna sempre avere chiari i termini di confronto culturale ed ideologico su cui misurarsi” (CS 21/9).

L’Unità, d’altro canto, polemizza contro i nuovi tagli, e per il “Tango in tv” si augura che “le solite denunce dei gruppi informali non riescano a far tornare indietro il tempo e a bloccare il film nei vari punti di emittenza di Canale 5 sparsi in tutta Italia” (UN 21/9). Per inciso, i «gruppi informali» hanno interpellato il Presidente Cossiga con un telegramma, chiedendo un suo intervento qualora “la trasmissione del film Ultimo Tango annunciata per mercoledì 21 settembre alle 21:30 sia «contra legem»”.

L’ultimo e più duro assalto contro il film di Bertolucci viene però sferrato dall’Avvenire. A pagina sei, sotto l’eloquente titolo “Ore 21:30, vuoto in onda”, si riporta l’opinione dell’ex direttore de L’Osservatore Romano Valerio Volpini, per cui, nella proiezione televisiva della storia d’amore tra Jeanne e Paul, c’è “la stessa presunzione intellettuale alla base del terrorismo (…) la stessa logica di potere, la stessa mancanza di rispetto per gli altri. Caso mai, sono diversi i toni: si passa dal tragico al banale (…) Il nostro tempo vive nella superstizione dell’autonomia intellettuale e del nuovo. La trasgressione è qualcosa che sostituisce l’intelligenza, la capacità di discernimento, la critica. Dopo essersi presentata come spargimento di sangue all’epoca delle Br, la trasgressione come costume e abito mentale non è scomparsa con il fallimento dell’ideologia violenta, ma è diventata un modo per comunicare il vuoto: entra nel salotto buono di casa, con meno rischi.” (AV 21/9). Non si parla nemmeno più, dunque, di “ributtanti sconcezze e vergognose turpitudini”, ma si accosta senza mezzi termini il film all’azione delle Br. Un attacco molto pesante, considerando che la stagione del terrore ha provocato, soltanto tra il 1976 e il 1978, più di trenta vittime, compreso Aldo Moro.

Sotto, un articolo di Pier Giorgio Liverani (tra l’altro, uno degli invitati al dibattito in tv), fa invece il punto sulla “tragicomica vicenda del film sequestrato”. Riassumendone gli intricati risvolti giudiziari ed economici, ravvisa, come in occasione della sentenza di non oscenità, un’incredibile serie di anomalie, contraddizioni e “distrazioni dei giudici”. Conclusione: “in nome della libertà d’espressione, ma in realtà in nome degli interessi di un mondo cinematografico che trova complice buona parte dell’intellighenzia, si manda all’aria anche l’ordinamento legislativo, che è la garanzia appunto della libertà di tutti e non solo della difesa dall’osceno” (AV 21/9).

In ogni caso, né Il Corriere della SeraL’Unità raccolgono queste nuove provocazioni. Entrambi pubblicano degli aneddoti sul film di mano dell’autore, che celebrano l’irripetibile connubio con Marlon Brando, e soltanto il primo, il 22 settembre, fa una sintesi del dibattito tv, dai contenuti peraltro trascurabili: nella cornice dell’evento, conta di più la forma della sostanza, la partecipazione collettiva delle ragioni di questa partecipazione.

 

Note

 

[1] D. Liggeri, Mani di forbice. La censura cinematografica in Italia, Alessandria: Ed. Falsopiano, 1997, pag. 147. Da notare come capeggi, sulla copertina di questo volume, una fotografia dello stesso Bertolucci (peraltro attaccata, in un improbabile collage, sul décolleté di Sharon Stone), mentre su quella di Italia taglia (vedi nota 2) c’è uno scatto di scena di Ultimo Tango con Brando e la Schneider, a testimonianza dell’indiscutibile trono occupato da questo film nell’affollatissima corte della censura cinematografica italiana.

 

[2] T. Sanguineti (a cura di), Italia taglia, Milano: Editori associati (coll. Transeuropa), 1999.

 

[3] op. cit.

 

[4] G. P. Brunetta, Storia del cinema italiano, Roma: Editori riuniti, 1993.

 

[5] in A. Baldi, Lo sguardo punito: film censurati, 1947-1962, Roma: Bulzoni editore, 1994.

 

[6] a questo proposito, impossibile non evocare la calligrafica e per molti versi straordinaria parodia Ultimo Tango a Zagarol (1973), di Nando Cicero con Franco Franchi, che, circolando liberamente mentre l’Ultimo Tango originale andava verso la messa al bando, ha sicuramente contribuito in qualche misura a ribadire l’importanza e la popolarità del film di Bertolucci.

 

[7] nello stesso anno, con escamotage cinefilo, il grande regista tedesco da poco scomparso viene omaggiato nella manifestazione “Ladri di cinema”, come il mittente della copia di Ultimo Tango proiettata clandestinamente durante la stessa.

 

[8] in Mani di forbice, op. cit., pag. 151-3.

 

[9] in Mani di forbice, op. cit., pag. 163.

 

[10] in Italia taglia, op. cit., pag. 236.

 

[11] “(…) Poiché non si può censurare il veramente osceno, ripeto: non offendeteci, non toglieteci questa benedetta repressione.”, pag. 49.

 

[12] J.F. Revel, La nuova censura: un esempio di come si instaura la mentalità totalitaria, Milano: Rizzoli, 1978.

 

[13] parafrasando qui il noto concetto semiotico introdotto da Umberto Eco. Vedi, tra gli altri, G. Marrone, Corpi sociali: processi comunicativi e semiotica del testo, Torino: Einaudi, 2001, pag. 43-46.

 

[14] parole che sembra siano state pronunciate da un censore contro Salò di Pasolini, e riportate in Mani di forbice, op. cit., pag. 16215 in W. Grinswold, Cultures and Societies in a Changing World, Thousand Oaks, California: Pine Forges Press, 1994 (trad. it. Sociologia della cultura, Bologna: Il Mulino, 1997).

 

[16] op. cit., pag. 31 dell’edizione italiana

 

[17] in Italia taglia, op. cit., pag. 212.

 

[18] raccolta in G. Grazzini, Gli anni Settanta in cento film, Roma: Laterza, 1976, pag. 172.

 

[19] in realtà, avremmo potuto costruire almeno un altro diamante intermedio, relativo alla proiezione “clandestina” del 1982, durante la manifestazione “Ladri di cinema”: in questo caso, a fronte di un Bertolucci acclamato dai presenti maestro di cinema, avremmo avuto a nord l’Italia inizio anni ’80, a sud il film in edizione originale (cioè con audio anglo-francese e sottotitoli in italiano), e a est la ristretta platea di cinefili, entusiasti spettatori di questa proiezione “a sorpresa”. Ma, proprio per il carattere ridotto del Ricevitore, suggeriamo questa costruzione soltanto in nota, concentrando l’attenzione sulle situazioni in cui l’opera incontra il grande pubblico.

 

[20] celebre definizione coniata da Umberto Eco per descrivere, nella sua accezione storica, il nuovo assetto concorrenziale determinato dall’emergere delle tre tv private berlusconiane su scala nazionale, in opposizione alla paleo-tv del precedente regime monopolistico della Rai. Sempre in Corpi sociali, op. cit., pag. 52-55.

 

[21] riassunta in Italia taglia, op. cit., pag. 218-30.

 

[22] che resta “una persistente esaltazione di assurde ed aberranti deviazioni sessuali che non offendono soltanto il comune senso del pudore, ma i più elementari principi del rispetto (sic) della persona umana”, secondo la sentenza del 6 dicembre 1990 della Commissione di revisione di I° grado.

 

[23] vedi il “Dossier Bernardo Bertolucci” pubblicato nel numero monografico de La Valle dell’Eden, anno IV, n. 10/11, maggio – dicembre 2002, Torino: Lindau 2002, pag. 9.

 

[24] sempre nel caso di Salò di Pasolini, in un ricorso della PEA al Tar del Lazio del 2 maggio 1991 (contro il parere della Commissione d’Appello di Revisione Cinematografica che sanciva il divieto per i minori di 18 anni), si legge che “Oggi Pasolini si studia, a seconda dei programmi, negli ultimi due anni dell’antico ginnasio superiore, se non addirittura nelle scuole medie inferiori, e negli anni del liceo; lo studiano quindi anche i minori degli anni 14”. In Italia taglia, op. cit., pag. 229.

 

[25] il titolo di questo paragrafo è ripreso dal documentario di Gianni Amelio Bertolucci secondo il cinema, girato nel 1976 sul set di Novecento di Bertolucci.

 

[26] su questo punto vedi Franco Prono, Bernardo Bertolucci: il conformista, Torino: Lindau, 1999, pag. 15.

 

[27] vedi, per esempio, l’intervista a Bertolucci pubblicata nello “Speciale Ultimo Tango a Parigi” della rivista Segnocinema, anno XXII, n. 113 gennaio – febbraio 2002, Vicenza, 2002, pag. 15-16.

 

[28] in S. Socci, Bernardo Bertolucci, Milano: Il castoro, 1996, pag. 49-55.

 

[29] tra l’altro, se all’inizio il personaggio di Tom, maldestro regista di un film per la tv, e dunque scadente per definizione (pasoliniana), è nettamente perdente nei confronti del vagabondo americano, nel triangolo amoroso con Jeanne risulterà vincitore proprio in extremis soltanto con la morte di Paul.

 

[30] su questo, ricca d’interesse è l’analisi di María José Moore La estructura narrativa en “Último tango en París”, reperibile in rete all’indirizzo http://www.otrocampo.com/2/bertolucci.html

 

[31] nello speciale di Segnocinema n. 113, op. cit., pag. 26-27.

 

[32] G. P. Brunetta, Storia del cinema italiano, op. cit., quarto volume, pag. 32.

 

[33] mentre, in edizione integrale, risulta vietato ai minori di 18 anni in Argentina, Cile, Finlandia, Italia, Norvegia, Portogallo (dove tra il ’73 e il ’74 era bandito), Regno Unito (dove originariamente era X-rated); ai minori di 16 in Francia e Germania; ai minori di 15 in Svezia. Fonte: www.imdb.com

 

[34] F. di Giammatteo, Lo sguardo inquieto: storia del cinema italiano (1940-1990), Firenze: La Nuova Italia, 1994, pag. 299.

 

[35] l’espressione è di Jacopo Chessa, dal suo saggio Un tango a tre livelli nella casa del cinema, contenuto in La Valle dell’Eden n. 10/11, op. cit., pag. 131.

 

[36] in Italia taglia, op. cit., pag. 211.

 

[37] per un quadro completo, si rimanda alla Cronologia posta in fondo a questo lavoro.

 

[38] è riportata anche in Mani di forbice, op. cit., pag. 148.

 

[39] il 28 ottobre 1976, vedi anche Mani di forbice, op. cit., pag. 164.

 

[40] vedi ancora Mani di forbice, op. cit., pag. 164.

 

[41] dove parla di “offesa recata dal Pontefice alla dignità e all’indipendenza della Repubblica italiana”, ricordando “un intervento di Pio 12° contro la Corte costituzionale a proposito di un manifesto con Gina Lollobrigida, che provocò la dimissione di Enrico De Nicola da Presidente di Corte costituzionale” (UN 4/2).

 

[42] Italia taglia, op. cit., pag. 211.

 

[43] per il processo di costruzione della quale rimandiamo a Corpi sociali, op. cit., pag. 251-4.

 

[44] per questa nozione vedi D. Dayan, E. Katz, Media events. The live Broadcasting of History, Cambridge, Mass.: Harvard University Press, 1992 (trad. it. Le grandi cerimonie dei media, Bologna: Baskerville, 1993).

 

[45] G. Barlozzetti, Eventi e riti della televisione. Dalla Guerra del Golfo alle Twin Towers, Milano: Franco Angeli, 2002.

Fonte: fucinemute.it

Leggi anche:

– tutti i film di tango: Filmografia sul Tango Argentino 1915-2007

– la difesa dei giornalisti: L'Ultimo Tango a Parigi e Giorgio Polacco

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