Tango: un riflesso di ciò che siamo

Studiare il tango in tutte le sue dimensioni è un buon modo per sapere come siamo, ciò che sentiamo e da dove veniamo.

Affermare che il tango è un ballo è come dire che il cane è una coda.

Si crede che il tango sia un genere, un "invenzione" degli uomini per dare un marchio più tipico della sua geografia e al fenomeno, più misterioso, della sua identità.

Qualcosa che riassume cosa sia amore, sesso e morte deve essere abbastanza grande per simboleggiare una cultura, che ha quello che serve per durare nel tempo, come le passioni durature e le miserie.

Borges satiricamente scrive nel suo Evaristo Carriego "Prima era una diavoleria orgiastica, oggi è un modo di camminare."

Così insinua ciò che è il tango: fatale e inevitabile. Perché si pensa che la storia del tango esista per testare una genealogia dell'identità e il modo più tipico di essere della cultura che lo ha generato.

Il tango è qualcosa a cui nessuno sfugge.

Si potrebbe credere che il tango è uomo. Potremmo dire, senza perdere la verità, che in effetti è stato fatto dagli uomini, ma con le donne in mente.

Indubbiamente nel tango son presenti caratteristiche di machismo. Si nasconde un  sentimento di inferiorità vergognoso che scava nell'uomo l'impotenza contro l'abbandono delle "mine"; e l'idealizzazione della madre e della prima ragazza "buona" che ha conosciuto, mentre lui è stato abbandonato. Questo atteggiamento arriva spesso alla violenza, che si manifesta solitamente con la spavalderia del «compadrito» sintomo della sua insicurezza, della paura di essere poco o non abbastanza.

Non importa ciò che è l'uomo, ma conta quello che dicono che è.

E nel frattempo che si sostiene l'apparenza, la vita finisce.

Ma soprattutto il tango è la tristezza,  l'abitudine di "inventare" la nostalgia per l'estrema convinzione che tutto è passato, che nulla sarà come prima, in una visione di decadimento.

Lontano dall'evasione e dall'ulteriore intrattenimento, l'uomo medita a tavolino sulla sua fortuna, sul suo dolore, scegliendo il modo più assurdo di dimenticare ciò che proprio non vuole. Lui "è" il suo dolore, quel dolore che travolge.

Horacio Ferrer e Luis Adolfo Sierra dicevano che il tango non è triste, è grave. Si può affermare che, appunto, è la tristezza della gravità, l'amarezza della vita quotidiana e la "cosa sul serio."

Così dice Martinez Estrada riferendosi alla danza: "ha la gravità dell'essere umano quando procrea. Il tango ha fissato la gravità della copula, perché esso sembra riprodursi senza piacere. "

Una volta ho sentito dire che il tango non è drammatico, è giocoso. Ma tutt'altro che allegro. E' sorprendente che alcuni brani vengano caratterizzati da un tono umoristico.

Quando nel Tango appare l'umorismo lo si ha nella forma più pura che è quella grottesca; di fronte alla disgrazia senza rimedio, il sorriso rassegnato e scettico di colui che non spera in nulla. Il "ridere per non piangere" può essere il modo più infantile di trattare con le avversità … o il più saggio (l'opera di Enrique Santos Discépolo riassume questa tendenza).

Famosi brani alludono alle notti divertenti sul bere e sui bordelli ma ciò non ci deve trarre in inganno.

La presunta gioia del tango non può nemmeno essere dedotta da questi dati, perchè, come dice Sabato: "questo stesso fatto ci deve far sospettare che possa essere così, se non pure il suo contrario, poichè la creazione artistica è un atto invariabilmente antagonistico, di fuga o di ribellione" (Ernesto Sabato, Tango. Discusión y clave).

Finalmente possiamo avvicinarci all'identificazione più curiosa: il tango e la sua cultura condividono un origine ibrida e oscura. Discendenti da un incontro traumatico, figli naturali di nostalgia e sovraffollamento, immigrati truffati e sfollati dalla guerra e il criollo che "scappa" dalle campagne, con la Bibbia e la legge, diviene il verbo per l'immigrato.

Da questa combinazione volge questa cultura, da quella lotta. Eredi della sfortunata storia del vecchio continente e della sfortuna di una pianura 'senza storia', di quegli anni, si è discusso se questa cultura si identificasse con entrambe e nel frattempo non ne riconoscesse alcuna.

Risultato di una differenza culturale che si è approfondita nella lingua e nel grigiore di rabbia e sconcerto, il tango è nato in un pezzo di conventillo che è dove affonda le sue radici. E da quella stessa rabbia nasce il lunfardo, come dialetto degli emarginati, prima, per essere più tardi la peculiarità spagnola degli argentini. Come pure in Gardel, grande idolo, permane un angoscia delle origini incerte che, a volte, si sospetta sia indecorosa.

Il tango non è altro che, riassumendo, la nostra mostruosità che, come la paternità, è così vanitosa da negare come pure da ammettere, perché è una fatalità della cultura stessa, come "essere criollo", che affonda le sue origini nelle grandi migrazioni di italiani, e non solo. Da questo punto di vista lo studio del genere porta a conoscere meglio come siamo e da dove veniamo. E di perchè il tango non sia solo esclusivo nel cuore degli argentini.

 

Tratto da todotango

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